Proponiamo una sintetica panoramica delle novità derivanti dall’introduzione del nuovo istituto del “contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti” previsto dal decreto legislativo 4 marzo 2015 n.23, in vigore dal 7 marzo 2015, prima tappa nel percorso di attuazione della delega contenuta nel “Jobs Act” (Legge n.183/2014).

Il decreto legislativo n.23/2015, infatti, introduce una nuova disciplina in materia di licenziamento, prevedendo che l’istituto della reintegrazione nel posto di lavoro rappresenta per i nuovi assunti l’eccezione rispetto alla regola del riconoscimento di un indennizzo economico crescente in funzione dell’anzianità di servizio del lavoratore : le “tutele crescenti” che danno appunto il nome al provvedimento e che, come vedremo, vengono dimezzate in caso di piccole imprese, al di sotto della soglia dei 15 dipendenti.

Il diritto alla reintegrazione viene limitato a specifiche ipotesi (licenziamenti discriminatori, nulli, disciplinari illegittimi per insussistenza del fatto materiale contestato, per disabilità fisica o psichica, ovvero intimati oralmente), riducendo in tal modo non solo l’ambito di applicabilità della reintegrazione, ma anche lo spazio di discrezionalità del giudice rispetto alla preesistente disciplina di cui alla Legge n.92/2012 (c.d. riforma Fornero).

La nuova disciplina del contratto di lavoro a tutele crescenti riguarda i lavoratori con qualifica di operaio, impiegato e quadro (art.1, comma 1, Dlgs n.23/2015), esclusi invece i dirigenti, per i quali continua ad applicarsi la contrattazione collettiva di categoria.

La nuova disciplina in materia di licenziamento riguarda tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato costituiti a decorrerere dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del Dlgs n.23/2015, mentre ai rapporti di lavoro già in essere resterà applicabile la disciplina previgente, salva l’importante eccezione di cui alla lettera c).

In particolare, la nuova disciplina si applica nei seguenti casi :

  1. ai lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (art.1, comma 1, Dlgs 23/2015);

  1. in caso di “stabilizzazione” di lavoratori già assunti con contratto di lavoro a tempo determinato o di apprendistato, mediante conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, del contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto di lavoro a tempo indeterminato (art.1, comma 2, Dlgs 23/2015);

  1. in caso di piccole imprese che superino la soglia occupazionale (oltre quindici dipendenti ex art.18, comma 8 e 9, L.300/70) in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto in esame (art.1, comma 3, Dlgs n.23/2015); in tal caso si verifica una sorta di effetto “trascinamento”, nel senso che le nuove norme sulle tutele crescenti si applicano anche ai vecchi assunti, già in forza all’azienda che, aumentando l’organico, supera la soglia dimensionale (più di 15 dipendenti) per l’applicazione dell’art.18 Statuto dei lavoratori.

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Fermo quanto sopra, passiamo all’esame delle nuove tutele previste in caso di licenziamento illegittimo dal primo decreto attuativo del Jobs Act.

Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale

Come accennato, nei casi sopra indicati l’istituto della reintegrazione nel posto di lavoro (art.2 del Dlgs n.23/2015) si applicherà nelle seguenti fattispecie di licenziamento :

licenziamento discriminatorio, intimato per motivi di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali (ex art.15 L.300/70);

licenziamento nullo nei casi espressamente previsti dalla legge, quali ad esempio licenziamento intimato per causa di matrimonio, per gravidanza sino al termine di interdizione, per fruizione dei congedi parentali, per motivo illecito ex art. 1345 c.c., ovvero in casi di licenziamento ritorsivo o per rappresaglia;

licenziamento intimato in forma orale;

licenziamento per inidoneità fisica o psichica del lavoratore, in caso di difetto di giustificazione (art.2, comma 3, Dlgs 23/2015).

Soltanto in questi casi alla pronuncia di nullità del licenziamento segue la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità, comunque non inferiore a 5 mensilità, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR1 , corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavoratove (aliunde perceptum); inoltre, il datore di lavoro è condannato, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Infine, va ricordato che, come in precedenza, in caso di reintegrazione ai sensi dell’art.2 del Dlgs n.23/2015, il lavoratore licenziato ha la facoltà di optare, in sostituzione della reintegrazione, per il pagamento di una indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR (art.2, comma 3 Dlgs n.23/2015).

1 In mancanza di una definizione normativa di “retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR” contenuta nel Dlgs n.23/2015 , soccorre l’art.2120, comma 2, codice civile che in materia di calcolo del TFR prevede quanto segue : “salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua ai fini del comma precedente (ossia il computo del TFR dividendo la retribuzione annua per 13,5), comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”. A titolo indicativo (non esaustivo), si puo’ ritenere che le voci di retribuzione che rientrano nel calcolo del TFR comprendono : a) paga base, contingenza, terzo elemento contrattuale, scatti di anzianità, super mimino individuale; b) mensilità supplementari (13ma e 14ma); c) lavoro straordinario non occasionale; c) maggiorazione per lavoro notturno (in caso di lavoro su turni); d) indennità di mensa, di funzione, di mansione, di alloggio, di cassa o maneggio denario, indennità di trasporto, indennità di servizio estero, indennità per lavori disagiati; e) premio di fedeltà aziendale, premio annuo, premio di anzianità; f) festività infrasettimanali retribuite, festività cadenti di domenica, ex festività; g) indennità sostitutiva di ferie non godute e indennità sostitutiva di preavviso; h) fringe benefits (auto aziendale e polizze assicurative stipulate a favore del lavoratore). Se ne deduce che il nuovo parametro previsto dal Dlgs n.23/2015 è più ampio ed inclusivo rispetto a quello della “retribuzione globale di fatto” fin qui utilizzato per calcolo delle indennità risarcitorie spettanti al lavoratore.

Licenziamento per giustificato motivo e per giusta causa

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (c.d. “licenziamento economico”, per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa) o per giustificato motivo soggettivo (determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, c.d. licenziamento disciplinare con preavviso) o per giusta causa (grave inadempimento che impedisce la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, c.d. “licenziamento disciplinare senza preavviso” ex art. 2119 c.c.), la nuova disciplina delle tutele crescenti prevede che di regola, qualora il licenziamento venga ritenuto illegittimo, il rapporto si estingue dalla data del licenziamento, con condanna del datore di lavoro al pagamento a favore del lavoratore di una indennità risarcitoria (non soggetta a contribuzione previdenziale) proporzionata all’anzianità di servizio del lavoratore (pari a due mensilità per ogni anno di servizio), compresa tra un minimo di 4 ed un massimo di 24 mensilità (art.3, comma 1, del Dlgs n.23/2015)

Secondo l’art.3, comma 2, del Dlgs n.23/2015, tuttavia, la reintegrazione nel posto di lavoro è ancora prevista nelle ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, qualora in giudizio venga dimostrata “l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore; in tali ipotesi all’annullamento del licenziamento disciplinare segue la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, oltre alla condanna al pagamento in favore del lavoratore di una indennità risarcitoria dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12 mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Nelle piccole imprese, in cui il datore di lavoro non raggiunge i requisiti dimensionali di cui all’art.18, commi 8 e 9 della Legge 300/70 (oltre 15 dipendenti)2 , viene espressamente esclusa l’applicazione della reintegrazione nei casi di cui all’art.3, comma 2 del Dlgs n.23/2015 e, in caso di illegittimità del licenziamento intimato in assenza di giustificato motivo o di giusta causa (ex art.3, comma 1, del Dlgs n.23/2015), l’indennizzo riconosciuto al lavoratore è compreso fra un minimo di 2 mensilità (leggermente inferiore alle 2,5 mensilità previste per i vecchi assunti dall’art.8 Legge 604/66, c.d. tutela obbligatoria) ed un massimo di 6 mensilità (v. art.9, comma 1, Dlgs n.23/2015).

2 La soglia di applicabilità della tutela reale di cui all’art.18, commi 8 e 9, Statuto dei lavoratori (Legge 300/70) deve ritenersi superata sia quando il datore di lavoro disponga di 15 dipendenti nell’ambito di uno stesso territorio comunale, seppure divisi in unità produttive di consistenza inferiore; sia quando occupi più di 60 dipendenti; sia infine quando via sia una unità produttiva autonoma con più di 15 dipendenti, di cui fanno parte integrante strutture organizzative collocate in territori comunali diversi e prive di ogni autonomia o potere di decisione” (Cass. Sez. Lavoro, 10 novembre 1997 n.11092).

Licenziamento viziato per motivi formali o procedurali

L’art.4, comma 1, del Dlgs n.23/2015 prevede che nell’ipotesi in cui il licenziamento venga intimato in violazione del principio di motivazione (art.2 legge 604/66), ovvero in violazione delle procedure di contestazione disciplinare (art.7 Legge 300/70), il rapporto di lavoro si estingue dalla data del licenziamento e il datore di lavoro viene condannato al pagamento a favore del lavoratore di una indennità risarcitoria (non soggetta a contribuzione previdenziale) proporzionata all’anzianità di servizio del lavoratore (pari a una mensilità per ogni anno di servizio), da un minimo di 2 ad un massimo di 12 mensilità.

In caso di violazioni formali o procedurali, quindi, l’indennizzo è dimezzato rispetto a quello previsto in caso di mancanza di giustificato motivo o di giusta causa. A meno che il giudice non accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle più incisive tutele previste dall’art.2 (reintegrazione in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale) o dall’art.3 (indennizzo in caso di licenziamento illegittimo da 4 a 24 mensilità, ovvero reintegrazione in caso di acclarata insussistenza del fatto contestato disciplinarmente) del decreto stesso.

Da notare che nelle piccole imprese l’ammontare delle indennità e degli importi indicati dall’art.4, comma 1 del Dlgs n.23/2015 è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di 6 mensilità, per cui è compreso fra un minimo di 1 mensilità (nettamente inferiore alle 2,5 mensilità previste per i vecchi assunti dall’art.8 Legge 604/66) ed un massimo di 6 mensilità (v. art.9, comma 1, Dlgs n.23/2015).

Il nuovo istituto dell’offerta di conciliazione

Infine, di sicuro interesse è l’introduzione dell’offerta di conciliazione prevista dall’art.6 del Dlgs n.23/2015 per definire stragiudizialmente le controversie in materia di licenziamento (evitando il ricorso al giudice del lavoro) dei lavoratori che verranno assunti con il nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

In caso di licenziamento, infatti, il datore di lavoro potrà offrire al lavoratore, entro il termine di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale dello stesso, un importo (esente da tasse e contribuzione previdenziale) di ammontare pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità; nelle piccole imprese l’importo va da un minimo di 1 ad un massimo di 6 mensilità (art.9 Dlgs n.23/2015).

L’offerta di conciliazione deve essere fatta dal datore di lavoro, entro il suddetto termine, mediante consegna al lavoratore di assegno circolare in sede di conciliazione avanti alla DTL o in sede sindacale, e comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia del lavoratore all’impugnazione del licenziamento; mentre le somme eventualmente corrisposte al lavoratore ad altro titolo (ad esempio, per differenze retributive, TFR, differenze di livello, ecc.) restano soggette al regime fiscale ordinario.

Lo Studio è ovviamente a disposizione per fornire assistenza e consulenza relativamente alle nuove disposizioni sopra illustrate.

*Avv. Marco Emanuele Galanti

*Avv. Paolo Poli