[Maggio 2011] - Mediazione obbligatoria: quanti dubbi!
La normativa in materia di mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali (Decreto Legislativo n.69/2009) è caratterizzata da un’entrata in vigore progressiva. Il 20 marzo 2011 è entrata in vigore la parte più rilevante della normativa, riguardante la mediazione obbligatoria, che si estenderà - il prossimo anno - anche alle liti condominiali e per i sinistri derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti. Le maggiori perplessità riguardano proprio i casi di obbligatorietà della mediazione ed il principale timore, espresso da alcune categorie professionali, è che il quadro del contenzioso civile, già molto critico, si aggravi ulteriormente divenendo ancor più caotico e confuso. Non a caso, vi sono state vibranti proteste, culminate in una recente e prolungata astensione degli avvocati dalla partecipazione alle udienze. In tale contesto, non certo “sereno”, non ci si può comunque sottrarre dal considerare alcune criticità e problematiche intepretative del testo delle norme.
Innanzi tutto, è opportuno ricordare che le norme, con le relative “integrazioni” ministeriali, indicano quali possono essere i soggetti incaricati di attuare la mediazione. Nulla si dice, invece, sulla loro collocazione territoriale, in relazione all’oggetto della controversia o al luogo di residenza, o sede per le persone giuridiche, dei soggetti coinvolti. Per le liti giudiziali civili sono previsti criteri per determinare la competenza territoriale del Giudice, per lo più legati al luogo ove si trova la residenza, o la sede, della parte convenuta ovvero all’oggetto della controversia: vi è sempre, quindi, un collegamento tra la causa da decidere e la collocazione territoriale del Giudice. Per la procedura di mediazione invece, sia essa facoltativa o obbligatoria, non solo non vi è alcun collegamento territoriale tra l’organismo di mediazione ed il Giudice dell’eventuale contenzioso giudiziale, ma non vi è nemmeno un criterio, dettato dal Legislatore, per determinare se in relazione ad una determinata controversia l’organismo di mediazione debba avere sede in un luogo, piuttosto che in un altro. La questione non è di poco conto, potendosi ben verificare il caso di procedure di mediazione instaurate avanti ad un organismo che si trovi in località del tutto svincolata dall’oggetto del contendere. La parte chiamata alla mediazione potrebbe così subire inevitabili ed ingiustificati pregiudizi, essendo costretta a lunghe e costose trasferte per poter partecipare alla procedura di mediazione, in contrasto con la finalità di contenimento dei costi perseguita dal Legislatore. Ed è tutto da discutere se la lontananza del luogo ove sia stata attivata la procedura di mediazione possa o meno costituire giustificato motivo per non parteciparvi e, in caso affermativo, se possa costituirlo sempre, ovvero solo in alcuni casi da determinarsi, e ciò anche in considerazione delle conseguenze che potrebbero derivare, nel successivo procedimento giudiziale, dall’ingiustificata assenza della parte dalla procedura di mediazione. Il Giudice, infatti, potrebbe desumere da tale mancata partecipazione “argomenti di prova” ai sensi dell’art.116 2° comma c.p.c. (art.8, comma 5° D.Lgs. n.69/2009). Ma l’art.116 2° comma c.p.c. fa riferimento al comportamento delle parti nel processo e non al diverso caso in cui le parti non partecipino del tutto al processo od una sua fase. La Corte di Cassazione, in tema, ha escluso la possibilità di applicare tale norma a chi non partecipi al processo, rendendosi contumace (sentenza n.10554/1994). Sorge quindi spontaneo chiedersi per quale valida ragione, ed in base a quale eventuale motivazione, il Giudice potrebbe desumere argomenti di prova per la mancata partecipazione di una parte ad una fase addirittura precedente al processo ed alla sua fase istruttoria. L’impressione è che sul punto il Legislatore sia incorso in un’evidente forzatura, nell’intento di sanzionare, cercando di prevenirli, comportamenti evasivi e diretti a by-passare la procedura di mediazione. Se comprensibile e condivisibile è l’intento, meno comprensibile e condivisibile appare la soluzione adottata.
Ulteriori dubbi nascono dall’elencazione delle controversie interessate all’obbligatorietà della mediazione. Così, a titolo esemplificativo, è legittimo chiedersi se per controversia relativa a “diritti reali” si intenda solo una causa in cui si controverta della titolarietà di un diritto reale, sia esso di proprietà o altro, oppure anche una causa che “presupponga” la titolarietà di un diritto reale del tutto incontestato, come può avvenire, ad esempio, nei procedimenti di denuncia di nuova opera o di danno temuto. E’ facile prevedere che sul punto si formerà un’ampia casistica giurisprudenziale ma, tale futuro dispendio di tempo e di risorse si sarebbe potuto prevenire ed attenuare, quanto meno in parte e per quanto possibile, ricorrendo ad un’elencazione maggiormente dettagliata.
Occorre poi considerare che anche per le materie relative ai casi di mediazione obbligatoria, vi sono una serie di atti giudiziali che possono essere posti in essere evitando il preventivo procedimento di mediazione, senza alcun pericolo di incorrere in censure di improcedibilità. Tra questi rientrano i decreti ingiuntivi ed i relativi giudizi di opposizione, sino a quando il Giudice dell’eventuale opposizione non si pronunci sulla sospensione o sulla concessione della provvisoria esecuzione del decreto (art.5, comma 4° lett.a D. Lgs. n.69/2009). Dopo dette pronunce, il Giudice deve disporre un differimento, non inferiore a quattro/cinque mesi, per l’esperimento della procedura di mediazione. In tale contesto, è legittimo domandarsi che senso abbia lo svolgimento obbligatorio della mediazione nell’ambito di giudizi di opposizione che appaiano ictu oculi infondati e quindi già maturi per la decisione finale, e ciò sarà ancor più evidente nell’ipotesi in cui il debitore, pur proponendo opposizione, non si presenti nemmeno alla prima udienza.
Ma anche fuori dall’ipotesi del giudizio di opposizione, la norma così come concepita ben potrebbe essere utilizzata con finalità dilatorie. E’ infatti sufficiente ipotizzare l’instaurazione, da parte di soggetti che potrebbero essere destinatari di azioni monitorie, di procedimenti giudiziali privi di qualsivoglia fondamento e con evidenti finalità di prevenzione, in assenza dell’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione. In dette ipotesi, considerando i termini di comparizione (90 giorni) e l’obbligatorietà, per il Giudice, di disporre in prima udienza il rinvio per consentire la procedura di mediazione (non meno di 120/150 giorni), si assisterebbe ad una dilatazione illogica ed incomprensibile della durata del processo, con evidente pregiudizio per i cittadini che chiedano e meritino tutela, dilatazione che sarebbe ancor più abnorme ove chi agisse in prevenzione non allegasse all’atto di citazione l’informativa ex art.4, comma 3° del D.Lgs. citato. In quest’ultima ipotesi, infatti, vi sarebbe un’ulteriore differimento delle tempistiche del processo, in quanto l’articolo appena citato prevede che il Giudice informi la parte sulla facoltà di attivare la procedura di mediazione. Ma, come noto, e fatti salvi casi particolari avanti al Giudice di Pace (o nelle cause di “lavoro”), le parti sono assistite da un difensore e non compaiono personalmente alla prima udienza, né a quelle successive a meno che non lo disponga il Giudice. Quindi, il Giudice che si avveda in prima udienza della mancata informativa imputabile al difensore di chi abbia instaurato la causa, non può in alcun modo avvertire personalmente la parte di tale omissione e della facoltà di esperire il procedimento preventivo di mediazione: non può farlo in udienza poiché la parte non è presente; non può farlo con provvedimento scritto posto che il soggetto deputato a ricevere le comunicazioni e le notificazioni di qualsivoglia provvedimento o atto in corso di causa è il difensore. Pare quindi che al Giudice non resterebbe che fissare una successiva udienza, disponendo la comparizione personale della parte interessata ovvero di entrambe le parti, con pregiudizio sia ai più elementari principi di economia processuale sia alle tempistiche della causa, già di per sé eccessivamente dilatate, come ben noto, nella gran maggioranza dei casi.
Non resta quindi che confidare nella futura giurisprudenza, auspicando che i Giudici, anche avvalendosi delle argomentazioni proposte dai rispettivi difensori, adottino nella prassi, ed ove possibile, soluzioni dirette ad evitare le “distorsioni” delle norme esaminate, quale ad esempio la concessione di ordinanze –ingiunzioni ex art.186ter c.p.c. nelle prime udienze delle cause instaurate in prevenzione e con finalità meramente dilatorie.
Un ultimo rilievo merita il “potere” riservato ai mediatori. Nell’ambito del procedimento di mediazione, nel caso in cui l’accordo non sia raggiunto, le parti possono chiedere al mediatore di formulare una proposta di conciliazione. Ma è anche previsto che il mediatore possa formulare tale proposta indipendentemente da una specifica richiesta delle parti, con conseguente incremento dell’indennità spettantegli (art. 11 comma 1° D.Lgs. n.69/2009). Tale eventualità, che potrebbe anche configurare conflitti di interesse, deve essere tenuta ben presente, considerando anche altri aspetti “economici” di non poco conto. Per la parte che non accetti la proposta del mediatore potrebbero esservi rischi nel successivo procedimento giudiziale, ove quest’ultimo si concluda con una sentenza che richiami nei contenuti essenziali la proposta medesima, con specifico riferimento all’addebito delle spese legali. Più in particolare, se la parte che ha rifiutato la proposta vince la causa, dovrà pagare, oltre alle proprie spese legali, le spese legali di controparte, l’indennità spettante al mediatore ed i compensi destinati ad eventuali esperti che siano stati da quest’ultimo nominati.
E’ quindi auspicabile che il mediatore eserciti questo suo specifico potere con la massima accortezza, formulando la proposta, svincolata da qualsivoglia richiesta delle parti, solo qualora ciò sia obiettivamente opportuno in considerazione delle dinamiche della procedura e di quanto emerso dal confronto delle contrapposte tesi, culminato nel mancato raggiungimento dell’accordo.
La trattazione dei punti “critici” della normativa potrebbe continuare a lungo. L’impressione è che il Legislatore avrebbe potuto fare di meglio, in una materia così delicata e diretta ad aiutare sostanzialmente i Giudici a “smaltire” l’enorme carico di procedimenti già pendenti.
Spetterà ora agli operatori del settore, e quindi innanzi tutto ai Giudici ed agli avvocati, cercare di dipanare le molteplici problematiche interpretative nascenti da un testo normativo che, sicuramente, avrebbe potuto essere meglio realizzato.
A conferma dei precedenti rilievi, vi è già stata una prima e significativa “reazione giurisprudenziale”, rappresentata da una recente ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (ordinanza del 12/4/2011, rif.to Reg. Prov. Coll. 03202/2011). Il T.A.R. Lazio ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate diverse questioni di legittimità costituzionale, riguardanti in particolare: a) l’obbligatorietà del “previo esperimento del procedimento di mediazione” per le già ricordate “tipologie” di controversie; b) la previsione dell’”esperimento della mediazione” quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale; c) l’attribuzione ad organismi sia pubblici che privati, “che diano garanzie di serietà ed efficienza”, del compito di costituire “organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione”.
Su tali questioni dovrà ora pronunciarsi la Corte Costituzionale.
E’ possibile quindi, ed auspicabile, che l’attuale impianto normativo subisca un sensibile ridimensionamento.
* Marco Emanuele Galanti
* Fabio Meriggi
*Studio Legale Galanti Meriggi & Partners