[Settembre 2009] - Il trasferimento “formale” della sede sociale all’estero - Articolo pubblicato sul Il Sole 24 Ore del 12 ottobre 2009
di Marco Emanuele Galanti e Fabio Meriggi*
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza (n.16633 depositata il 17/7/2009), ha affrontato la delicata tematica dell’assoggettamento, o meno, al Giudice Italiano delle procedure fallimentari relative a società che abbiano trasferito all’estero la propria sede.
Avviene non di rado che società gravate da debiti, nel tentativo di sottrarsi alle azioni dei creditori, ricorrano a degli “escamotage” tra i quali, appunto, quello di trasferire solo “formalmente” la propria sede all’estero.
In tal modo, ricorrendo anche ad eccezioni di carenza di giurisdizione del Giudice Italiano, si cerca di scoraggiare l’instaurazione di azioni, da parte di terzi, per il recupero dei crediti (maggiormente costose, ovviamente, se da instaurare o da eseguire all’estero) e si creano i presupposti per ostacolare eventuali iniziative dei creditori dirette ad ottenere la declaratoria di fallimento da parte dell’Autorità Giudiziaria italiana.
Nel caso esaminato dalla Corte, una società gravata da debiti, poco prima del deposito dell’istanza di fallimento da parte della creditrice, aveva trasferito la propria sede legale all’estero, in altro Stato membro dell’Unione Europea (Romania).
Tale trasferimento, tuttavia, era avvenuto solo formalmente, senza un effettivo trasferimento all’estero del centro d’interessi dell’impresa.
La società debitrice, nell’ambito della procedura fallimentare, aveva eccepito la carenza di Giurisdizione del Giudice Italiano, proponendo istanza di regolamento preventivo di giurisdizione.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione relativa alla giurisdizione, ha fornito molteplici e chiare indicazioni, anche richiamando un recentissimo, proprio precedente (ordinanza n.11398/2009).
La Corte ha ricordato innanzi tutto che, trattandosi di questione relativa alla dichiarazione di fallimento di un’impresa con sede nel territorio dell’Unione Europea, l’individuazione del Giudice fornito di giurisdizione deve fare riferimento al Regolamento CE n.1346/2000. In tale contesto, il Giudice competente per le procedure di insolvenza (inclusa la procedura italiana di fallimento) è quello dello Stato dove è situato il centro degli interessi principali della società, vale a dire il luogo “in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”.
Secondo la Corte Suprema, si deve presumere, sino a prova contraria, che tale “centro” coincida con il luogo dove si trova la sede legale della società debitrice.
E questa presunzione, sempre ad avviso della Corte, può essere superata solo in presenza di elementi “obiettivi” e “verificabili”, dai quali si possa evincere di essere in presenza di una situazione apparente, diversa da quella effettiva e reale, come nel caso di una società che abbia trasferito la propria sede legale in uno stato estero ma senza svolgere, in tale stato, alcuna concreta attività.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte, al trasferimento della sede all’estero non era conseguito un corrispondente trasferimento dell’attività imprenditoriale, da intendersi, in senso lato, quale attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell’impresa.
Per tali ragioni, la Corte ha considerato vinta e superata la presunzione di coincidenza tra sede legale ed effettivo centro di interessi della società debitrice, attribuendo al Giudice Italiano (e non a quello Rumeno) la giurisdizione per la declaratoria di fallimento. L’orientamento della Corte di Cassazione, sinteticamente descritto, deve essere accolto con particolare favore.
Da un lato, infatti, ci si è puntualmente attenuti e conformati alle fonti normative di riferimento. Dall’altro, sono stati chiaramente ribaditi principi utili a scongiurare e vanificare un’artificio sempre più utilizzato, negli ultimi anni, da parte di società gravate da debiti anche per effetto, in alcuni casi, di azioni truffaldine a danno di altre realtà imprenditoriali.
Avv.ti Marco Emanuele Galanti e Fabio Meriggi*
*Studio Legale Galanti Meriggi & Partners