[Luglio 1996] - Giurisprudenza societaria
CIRCOLARE N. 3 LUG96
SEGNALAZIONE DI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN MATERIA SOCIETARIA
Si segnalano due recenti sentenze della Corte di Cassazione civile, in materia societaria, di notevole portata innovativa, da cui possono derivare significative conseguenze giuridiche.
- La prima del 20.7.1995 n. 7890, solo di recente pubblicazione, prevede l’efficacia della clausola, contenuta nello statuto di una società per azioni, che rimetta al giudizio degli organi sociali il potere di permettere o vietare il trasferimento delle azioni allorchè, “pur senza prevedere che l’esercizio di tale potere sia correlato a criteri prestabiliti, la clausola prescriva che, in caso di rifiuto dell’autorizzazione, la società debba designare altro acquirente delle medesime azioni in luogo di quello non gradito.
” Nel caso di specie la clausola di gradimento statuiva che, ove non ci fosse stato il placet degli organi sociali al trasferimento delle azione al terzo acquirente, il consiglio di amministrazione avrebbe indicato un diverso acquirente disposto ad acquistare le azioni al prezzo di mercato ovvero al prezzo determinato da agenti di borsa.
Indiscutibilmente, la sentenza de qua colma una grave lacuna dell’art. 22 legge 4 giugno 1985 n. 281 che prevedendo il divieto, ergo l’inefficacia delle c.d. clausole di “mero gradimento” (ovverosia delle clausole contenute negli statuti delle S.p.a. tese a subordinare gli effetti del trasferimento delle azioni al mero gradimento degli organi sociali) non precisa però in che cosa consista e quali siano gli estremi di una clausola di mero gradimento.
La S.C. assume una precisa posizione proprio in questa prospettiva: affinchè una clausola di gradimento sia valida ( e non possa, dunque, essere considerata inefficace perchè di “mero gradimento”) è sufficiente che assicuri comunque al socio la possibilità di cedere le proprie azioni, anche se a persona diversa da quella da lui originariamente prescelta come acquirente.
In altri termini la società può immotivatamente rifiutare l’acquirente delle azioni designato dal socio purchè indichi altro acquirente delle medesime azioni in lugo di quello non gradito.
Quid pluris?
Nella clausola di gradimento considerata valida dalla S.C., ed è questo l’aspetto censurabile della sentenza, non è previsto che il diverso aquirente indicato dalla società debba pagare al socio alienante il medesimo prezzo da quest’ultimo concordato con il compratore non gradito dagli organi sociali.
Al contrario, il prezzo di vendita delle azioni sarà quello di mercato (indice ambiguo e contradditorio) ovvero verrà determinato da agenti di cambio in veste di arbitratori; il socio, dunque, rimane “prigioniero” della società non potendo liberamente alienare le proprie azioni al prezzo concordato con l’acquirente, ma rimanendo vincolato o ad un valore fuggente e di difficile determinazione (il valore di mercato) o addirittura alla (incontrollabile) determinazione di terzi.
La S.C. ha posto, in questo modo, una notevole limitazione alla circolazione delle azioni ed un grande freno all’autonomia negoziale dei soci di una società per azioni.
- La seconda sentenza della S.C. che reputo opportuno segnalare è la numero 2001 dell’11 marzo 1996 in forza della quale “il trasferimento a titolo gratuito di risorse da una società ad altra appartenenente al medesimo gruppo non costituisce una donazione ai sensi dell’art. 769 c.c. e non necessita dei requisiti di forma qualora l’operazione sia stata posta in essere in adempimento di direttive impartite dalla capogruppo, ovvero risulti preordinata al soddisfacimento di un ben preciso interesse economico, anche mediato ed indiretto, della società cedente.
” Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, ed anche questa è una posizione senza precedenti, non sussisterebbero, nel caso di trasferimento a titolo gratuito di risorse da una società ad un’altra società appartenenti allo stesso gruppo, nè lo spirito di liberalità, condicio sine qua non della donazione, nè il depauperamento del presunto donante.
Non sarebbe riscontrabile il primo elemento poichè la decisione di arricchire sarebbe assunta da una società su segnalazione di un soggetto (società controllante) dotato di influenza dominante sul decidente; non si verificherebbe il secondo perchè nell’economia di un grupppo societario le operazioni svolte tra le società implicano compensazioni anche a favore della società (solo apparentemente) sacrificata.
Giuridicamente, dunque, seguendo tale orientamento giurisprudenziale, nel caso di trasferimento a titolo gratuito di risorse da un società ad un’altra appartenente allo stesso gruppo, non si porrebbe in essere una donazione (con la conseguente impossibilità di assoggettare l’operazione alle imposte previste dagli artt. 55 ss. del D.Lgs. 31.10.1990 n. 346 ) bensì un negozio traslativo atipico.
La Cassazione, in questo senso statuendo, è arrivata, per la prima volta, a conferire una rilevanza giuridica al c.d. interesse di gruppo (ad un interesse cioè che trascende e travalica quello delle singole società appartenenti ad un gruppo) dal momento che l’atto a titolo gratuito posto in essere da una società a favore di un’altra appartenenente allo stesso gruppo soddisfa un bisogno, rectius una logica di gruppo.
In altri termini, l’interesse del gruppo è idoneo (da solo) a giustificare un’attribuzione patrimoniale da un soggetto ad un altro anche in assenza dello spirito di liberalità o di una controprestazione sinallagmatica.
La rilevanza giuridica dell’interesse di gruppo, tuttavia, potrebbe minare e contrastare l’interesse dei soci di minoranza che rimarrebbero penalizzati da scelte economiche degli amministratori operate in virtù della logica di gruppo, e non nell’interesse della singola società amministrata.
Non ci si può esimere dal rilevare, inoltre, che la sentenza in esame è decisamente in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui gli amministratori di una controllata comunque devono perseguire, a rischio di una azione di responsabilità ex art. 2392 c.c., esclusivamente l’interesse della propria società (Cass. 13.02.1992 n. 1759).
Infatti, “la legittimità degli atti compiuti dagli amministratori della società va valutata esclusivamente in rapporto a quest’ultima, per cui negozi ingiustificatamente depauperativi di detta società posti in essere dai suoi amministratori non possono ritenersi consentiti” (App. Milano, 09.09.1988, App. Milano 30.09.1988).
Orbene, alla luce della sentenza della Cassazione in esame, come verrà, assicurato il difficile equilibrio tra le holdings e le società controllate? Quale tutela riceveranno i soci di minoranza? Quali responsabilità saranno configurabili in capo agli amministratori della controllata nel caso effettuino scelte in contrasto con gli interessi della società dagli stessi amministrata?
Sarà importante, in tale ottica, verificare quale orientamento si consoliderà nella giurisprudenza di legittimità e di merito.
Considerata la complessità e le continue innovazioni in relazione alla materia trattata, lo studio rimane a disposizione per qualsiasi ulteriore approfondimento o chiarimento che si dovesse rendere necessario.
Milano , Luglio 1996
Studio Legale GGM