[Novembre 2000] - Recupero interessi bancari
CIRCOLARE N. 12BIS NOV 2000
POSSIBILITA’ DI RECUPERO DEGLI INTERESSI BANCARI PASSIVI CORRISPOSTI IN ECCESSO
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Con la sentenza n.425 del 17 ottobre 2000 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del 3° comma dell’art. 25 del decreto legislativo “salva interessi” 4 agosto 1999 n.342 con cui il Governo aveva introdotto una norma transitoria che sanava le clausole “anatocistiche” stipulate anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del Circ (Comitato Interministeriale per il credito e il risparmio).
Dette clausole negoziali prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi a vantaggio delle sole banche attraverso il calcolo dei cd. interessi composti: in pratica, ogni tre mesi, gli interessi non corrisposti alla scadenza si capitalizzano e, sommati al capitale dovuto, diventano la base su cui calcolare i nuovi interessi.
L’articolo 1283 del codice civile sancisce come regola generale il “divieto di anatocismo”, ma allo stesso tempo prevede dei casi in cui è consentito: “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”. Ciò significa che la regola generale di divieto può non valere quando in un particolare settore di affari esista un norma consuetudinaria (il cd. “uso normativo”) che in qualche modo lo consenta.
Nei primi anni ‘50 le banche iniziarono ad effettuare la capitalizzazione trimestrale sui saldi di c/c passivi con la conseguenza che sui conti in debito venivano calcolati gli interessi ogni tre mesi, mentre sui i conti in credito venivano regolarmente calcolati annualmente. Questo provocava un’evidente disparità di trattamento a danno del cliente, disparità che si è andata consolidandosi negli anni seguenti fino ai giorni nostri. In altre parole l’anatocismo veniva usato a danno del cliente, mai della banca. D’altra parte questa prassi bancaria è stata in passato costantemente avallata dalla Cassazione che, fino al marzo 1999, come si vedrà, ha sempre ritenuto l’anatocismo attuato dalle banche nei confronti della propria clientela come comportamento legittimo perché fondato su un uso idoneo a neutralizzare il divieto previsto dal codice civile. In particolare per la Corte tale uso presentava i caratteri obbiettivi di costanza, generalità e durata, nonché il carattere subiettivo della opinio juris che contrassegnano la norma giuridica consuetudinaria vincolante gli interessati (si vedano le sentenze Cass. 5 giugno 1987 n. 4920 e 18 dicembre 1998 n. 12675).
Nel marzo del 1999 la Suprema Corte, sorprendentemente, ha cambiato orientamento e con due sentenze, definite “storiche”, ha stabilito che non è affatto attestata l’esistenza di una consuetudine in forza della quale la capitalizzazione degli interessi a debito debba avvenire ogni tre mesi, contro i dodici abitualmente riconosciuti per le percentuali maturate a favore del cliente.
La Corte ha dichiarato che tale prassi è illegittima perché non si basa su un uso normativo (come richiesto dalla legge), ma bensì su un uso negoziale praticato dalle stesse banche ed imposto ai propri clienti.
Successivamente la Cassazione è intervenuta ancora una volta consolidando definitivamente il nuovo orientamento (Cass., I sez, 11 novembre 1999 n.12507).
Il nuovo orientamento della Suprema Corte se da una parte suscitò un enorme ottimismo da parte delle associazioni dei consumatori che erano pronte a richiedere il rimborso degli interessi passivi indebitamente pagati nell’ultimo decennio da tutta la clientela bancaria (si ricorda che il termine di prescrizione ordinaria previsto dall’art. 2946 c.c. per esercitare l’azione di restituzione di un pagamento indebito, ex art. 2033 c.c., è di 10 anni), dall’altra gettò letteralmente nel panico le banche per l’eventualità che questi numerosissimi rimborsi dovessero realmente essere adempiuti.
Era ormai inevitabile che intervenisse il Parlamento, il quale avrebbe potuto con uno specifico provvedimento chiarire la situazione risolvendola, definitivamente e razionalmente, per entrambe le parti. Ciò non avvenne, in quanto, fu il Governo ad assumersi l’incarico di risolvere la scottante questione.
Con decreto legislativo n.342 del 4 agosto 1999 il Governo, da una parte attribuiva al Cicr il potere di stabilire, con apposita delibera, le modalità e i criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, precisando che nelle operazioni di c/c alla clientela dovesse essere assicurata “la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori” (art. 25, comma 2).
Dall’altra, invece, (ed è questa la parte della norma che la Consulta ha bocciato) prevedeva una norma transitoria di sanatoria, in base alla quale le vecchie clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale a vantaggio delle sole banche, se inserite “in contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del Circ sono valide ed efficaci fino a tale data” (art. 25, comma 3).
Il 9 febbraio 2000 il Cicr emanava il provvedimento di sua competenza che entrava in vigore il 22 aprile 2000, il quale finalmente stabiliva la pari periodicità nell’addebito e accredito degli interessi sui conti correnti bancari a partire dal 1° luglio 2000.
Nel frattempo la Corte Costituzionale veniva chiamata a pronunciarsi su numerosi profili di illegittimità relativi al 3° comma dell’art. 25 del decreto legislativo 4 agosto 1999 n.342, ed in particolare sul contrasto tra questa disposizione e l’art. 76 della Costituzione .
L’art. 76 della Costituzione statuisce che il Governo quando esercita la funzione legislativa delegata deve rispettare i “principi e criteri direttivi” contenuti in una specifica legge-delega approvata preventivamente dal Parlamento (che è sovrano).
Con sentenza del 17 ottobre 2000 n. 425 la Corte Costituzionale invece ha evidenziato come non sia stato rispettato tale principio ed è giunta pertanto a censurare tale norma quale frutto di un “eccesso di delega” da parte del Governo. Leggendo attentamente le motivazioni di detta sentenza, si evince come in realtà la Corte non si sia pronunciata “sulla ragionevolezza intrinseca della norma denunciata”, ma semplicemente sull’illegittimità del metodo di introduzione di tale norma nell’ordinamento.
Alla luce di questa importante decisione della Corte Costituzionale i clienti delle banche hanno nuovamente la possibilità di contestare la legittimità della riscossione di interessi su interessi attuata dagli istituti di credito prima della data di entrata in vigore del provvedimento del Cicr (22 aprile 2000).
Chi volesse richiedere tali rimborsi deve inviare alla propria banca una raccomandata con ricevuta di ritorno con la quale richiede entro 10 giorni, la restituzione di tutte le somme addebitate a titolo di “capitalizzazione trimestrale” dalla data di apertura del conto. Si ricorda che per poter chiedere legittimamente tale rimborso si deve essere titolare di un conto corrente ancora esistente oppure aver chiuso il proprio conto dopo l’ottobre 1990. Tutti i casi di chiusure superiori ai dieci anni invece sono prescritti. Se la banca non risponde entro i suddetti termini il cliente potrà procedere giudizialmente per ottenere il rimborso delle somme indebitamente percepite dalla banca.
Lo studio rimane comunque a disposizione per qualsiasi ulteriore informazione o spiegazione che si dovesse ritener necessaria. Milano, 7 novembre 2000
Studio Legale GGM