CIRCOLARE N. 13 GEN 2001

AGENTI DI COMMERCIO

Agenti di Commercio: la Corte di Giustizia CEE ribadisce che l’iscrizione al ruolo non sia condizione di validità del contratto d’agenzia (sentenza Corte di Giustizia delle Comunità Europee 13/7/2000 C 456/98)”

La Corte di Giustizia delle Comunità Europee con sentenza del 13 luglio 2000 (C 456/98), come già avvenuto con precedente decisione del 30 aprile 1998 (C 216/97), ha ribadito che l’art. 9 della Legge 204/85 (recante “Disciplina dell’attività di agente e raprresentante di commercio”"), si pone in contrasto con la Direttiva 86/653/CEE.

Il legislatore italiano, in tale disposizione, vieta a chi non è iscritto all’apposito ruolo (o albo) di esercitare l’attività d’agente o rappresentante di commercio; con la conseguenza che il contratto stipulato fra il preponente e il soggetto non iscritto in detto ruolo è da considerarsi nullo. La stessa Corte di Cassazione, con nota sentenza n.10612/90, aveva ritenuto l’iscrizione dell’agente all’apposito ruolo un requisito essenziale ed imprescindibile per la validità del contratto di agenzia.

Differente, rispetto alla sopra richiamta normativa italiana, è la disciplina comunitaria.

In particolare, la finalità della Direttiva 86/653/CEE, richiamata nella sentenza della Corte di Giustizia CEE in esame, è quella di eliminare od almeno attenuare le differenze tra le varie legislazioni nazionali in materia di agenzia e rappresentanza commerciale.

In tale Direttiva, il Legislatore comunitario indica in modo dettagliato ed esauriente le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che gli Stati membri devono adottare per regolare i rapporti tra preponenti ed agenti o rappresentanti commerciali.

La Direttiva inoltre consente agli stessi Stati membri di prevedere, per la validità del contratto d’agenzia e di rappresentanza commerciale, l’adozione della forma scritta (e il Legislatore Italiano si è già “conformato” a tale indicazione, con la recente, nota riforma dell’art.1742 cod. civ.).

Nella motivazione della sentenza del 13 luglio 2000 la Corte di Giustizia CEE ha anche affrontato la tematica dell’efficacia “diretta” delle Direttive. I giudici lussemburghesi, al riguardo, sostengono che le Direttive non creano obblighi a carico dei singoli ma che sia compito del Giudice eventualmente adìto disapplicare la disciplina nazionale, qualora la stessa non abbia recepito le Direttive medesime e non ne abbia perseguito gli scopi e gli obbiettivi.

Tale orientamento, peraltro, aveva costituito oggetto anche di precedente sentenza della Corte di Cassazione (Sezione Lavoro, sentenza n. 4817/99): la Corte Suprema aveva infatti stabilito che le Direttive aventi contenuto dettagliato e preciso (così dette Direttive “self-executing”) conferiscono al Giudice nazionale il potere di disapplicare le norme dell’ordinamento interno non conformi ad esse.

In definitiva, dai sopra esposti rilievi consegue che l’art.9 della L. 204/85 dovrebbe essere disapplicato dal Giudice italiano, ponendosi in netto contrasto con la Direttiva (”self-executing”) 86/653/CEE.