Con decreto legislativo n. 18 del 2 febbraio 2001 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 43 del 21 febbraio 2001) il legislatore ha modificato l’art.47 della legge 428/1990, stabilendo che nei trasferimenti d’azienda il cedente e l’acquirente devono informare le rappresentanze sindacali “almeno 25 giorni prima che si sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che si sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti”. La normativa, così come modificata, si applica solo ed esclusivamente alle imprese sia cedenti che cessionarie che occupino complessivamente più di quindici dipendenti e anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una ramo d’azienda. La nuova disposizione precisa i due parametri che delimitano la decorrenza dell’obbligo di informazione, già previsto dalla direttiva UE 98/50, individuandoli nell’atto di trasferimento o nell’intesa vincolante. Ma proprio quest’ultimo parametro lascia molto perplessi in quanto, dal punto di vista giuridico, potrebbe provocare non poche difficoltà interpretative circa il momento effettivo del perfezionamento di un’intesa vincolante e quindi riaprire il dibattito all’interno della dottrina e della giurisprudenza circa il momento in cui sorge l’obbligo di informazione. È opportuno ricordare che la direttiva UE 98/50 all’art.6 stabilisce che il cedente “è tenuto a comunicare (…) ai rappresentanti dei suoi lavoratori in tempo utile prima dell’attuazione del trasferimento”, mentre il cessionario “è tenuto a comunicare (…) ai rappresentanti dei suoi lavoratori in tempo utile e in ogni caso prima che i suoi lavoratori siano direttamente lesi dal trasferimento nelle loro condizioni di impiego e di lavoro”; il legislatore italiano sembra, dunque, essere andato oltre le direttive generali previste dall’art.6 della direttiva UE 98/50, costringendo cedente e cessionario ad aprire la fase di consultazione sindacale almeno 25 giorni prima che si sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante. La norma prevede tempi stretti e ben precisi per la conclusione della procedura sindacale e, comunque, la consultazione si deve ritenere conclusa se, trascorsi 10 giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo. Il mancato rispetto dell’obbligo di comunicazione previsto dall’art.2 del decreto legislativo n.18/2001 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’art.28 della legge n.300/70.

Il decreto legislativo 18/2001 prevede, inoltre, sostanziali modifiche dell’art.2112 del Codice Civile. In particolare, viene precisato (al comma 5 del nuovo testo) che l’oggetto del trasferimento d’azienda è rappresentato da “un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”. Il legislatore in questo caso supera la nozione di azienda dettata dall’art.2555 del Codice Civile: la novità consiste proprio nella configurabilità di trasferimento d’azienda anche nell’ipotesi di un’attività esercitata senza scopo di lucro.

Un’ulteriore modifica è stata apportata dalla nuova formulazione del comma 3 dell’art.2112 del Codice Civile che, conformandosi alle recenti pronunce giurisprudenziali[1], conferma l’obbligo del cessionario dell’azienda, o di un suo ramo, di applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salva l’ipotesi di sostituzione automatica del contratto collettivo della cedente ad opera di quello applicato dall’impresa cessionaria. Tuttavia, tale ultima previsione lascia un margine d’incertezza nel punto in cui si precisa che “l’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello” ed è prevedibile che tale incertezza darà luogo a molteplici contenziosi interpretativi. Inoltre, l’art.1 del decreto legislativo n.18/2001 stabilisce che, ferma restando la facoltà da parte dell’alienante di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’impresa non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Tale disposizione, che peraltro era già prevista dal comma 4 dell’art.47 della legge 248 del 1990, viene così ricondotta alla sede propria dell’art.2112 del Codice Civile. La novità introdotta dalla norma, in questo caso, consiste nella possibilità per il lavoratore di rassegnare le dimissioni per giusta causa ex art.2119 del Codice Civile, qualora intervengano sostanziali modifiche delle condizioni di lavoro nei tre mesi successivi al trasferimento.

STUDIO LEGALE GGM

[1] Vedi Sentenza del Tribunale di Milano n.1612 del 24/02/96 e Sentenza della Cassazione Civile n.9545 del 08/09/99.