Con la legge n.97 del 27 marzo 2001, il legislatore è nuovamente intervenuto in merito ai rapporti tra procedimento penale, sentenza penale di condanna e rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

La legge, punto di arrivo di un percorso durato circa tredici anni, in cui si sono alternati diversi indirizzi giurisprudenziali e soluzioni normative, nasce dalla necessità di adeguare la normativa esistente alla mutata realtà  dei rapporti sia in ambito penale, che in quello amministrativo.( si pensi  per esempio alla privatizzazione del rapporto di lavoro con il decreto legislativo 3 febbraio 1993 n.29 in seguito modificato dal Dlgs. 31 marzo 1998 n.80).

Le previsioni della legge si applicano in realtà a un ambito di soggetti più ampio dei tradizionali pubblici dipendenti (ad esempio dello Stato,regioni, enti locali) il cui rapporto di lavoro è disciplinato dal Dlgs 29/1993.

Essa infatti si estende anche ai dipendenti di amministrazioni pubbliche “speciali” ( ad esempio quelli delle autorità amministrative indipendenti), ai dipendenti di enti pubblici economici e infine ai dipendenti di persone giuridiche private a prevalente partecipazione pubblica, volendo cosi’ evitare che una mera trasformazione formale di veste giuridica, consenta una disciplina più favorevole per enti che svolgono in concreto funzioni pubbliche.

La legge agisce sostanzialmente su due fronti: da un lato regola i rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare e dall’altro modifica gli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Iniziando dall’esame di quest’ultimo aspetto e in particolare dalle modifiche apportate all’art 653 c.p.p., si nota la prima grande diversità rispetto alla vecchia disciplina.

L’art.653 si limitava a regolare l’efficacia della sentenza penale di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento, nel giudizio disciplinare amministrativo, la quale faceva stato quanto “all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso”.

Adesso il legislatore ha esteso l’efficacia di giudicato delle sentenze di assoluzione le quali, anche se pronunciate prima del dibattimento, fanno stato, quanto all’accertamento “che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce illecito penale”.

Inoltre è stato aggiunto all’articolo 653 c.p.p., il comma 1-bis, il quale attribuisce efficacia di giudicato anche alla sentenza penale irrevocabile di condanna la quale fa stato quanto “all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.”

La sentenza di patteggiamento che, salve diverse disposizioni di legge, è equiparata a una pronuncia di condanna, non aveva efficacia di giudicato, nei giudizi civili o amministrativi . Oggi invece, per effetto del nuovo testo dell’art. 445 c.p.p., (alla cui originaria formulazione è stato è stato aggiunto l’inciso “Salvo quanto previsto dall’art.653 c.p.p.”), la sentenza irrevocabile di patteggiamento è equiparata alla sentenza di condanna nel giudizio disciplinare amministrativo.

Infine il legislatore è intervenuto sull’art.652 c.p.p..

La disposizione prevedeva che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento, avesse efficacia di giudicato quanto all’accertamento “che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima” nel giudizio civile o amministrativo di danno, per le restituzioni e per il risarcimento del danno promosso dal danneggiato che si fosse costituito o fosse stato posto nelle condizioni di costituirsi parte civile.

Adesso, in virtù delle modifiche apportate all’art.652 c.p.p., la sentenza d’assoluzione ha la medesima efficacia, anche nel caso in cui il giudizio sia stato promosso nell’interesse del danneggiato. Per quanto riguarda invece i rapporti tra procedimento penale e procedimento amministrativo, la legge ha previsto un inasprimento delle sanzioni in caso di gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione quali, a titolo esemplificativo, il peculato, la concussione, la corruzione, la collusione militare.

L’art.3 della legge n.97/2001 dispone il trasferimento del dipendente (meramente facoltativo) ad altra sede nel caso in cui sia disposto il giudizio per uno dei già sopraindicati reati, mentre l’art.4 prevede la sospensione dall’ufficio per i dipendenti di amministrazioni o enti pubblici qualora siano condannati con sentenza, anche non definitiva, per uno di tali reati contro la pubblica amministrazione.

La sospensione si caratterizza per la sua obbligatorietà e per la sua durata massima che è pari circa a dieci o quindici anni contro i cinque della precedente disciplina e ciò in quanto dipendente dai diversi minimi di prescrizione.

Modificando infine il codice penale, si sono introdotte varie tipologie di estinzione del rapporto di impiego o di lavoro con le pubbliche amministrazioni tra cui: estinzione del rapporto come pena accessoria, inserito all’art.19 del c.p.; estinzione del rapporto a seguito di condanna alla reclusione non inferiore a tre anni per uno dei sopra indicati reati, (art. 32-quinquies c.p).

Occorre infine osservare che le disposizioni contenute nella nuova legge prevalgono sulle disposizioni contrattuali regolanti la materia, ponendo in evidenza l’intento del legislatore di non voler lasciare alla fonte contrattuale la libera regolamentazione del procedimento disciplinare.

STUDIO LEGALE GGM