CIRCOLARE N.25 MAGGIO 2001

CREDITI DI LAVORO NEI RAPPORTI DI LAVORO PRIVATI: RIVALUTAZIONE PERIODICA DEGLI INTERESSI

Si segnala una recente sentenza, la n. 38/2001, con la quale la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata sull’annoso tema dei criteri di computo degli interessi e della rivalutazione monetaria dovuti, ai sensi degli art.429 c.p.c. e art.150 disp.att.c.p.c., per il ritardato pagamento dei crediti di lavoro.

La Suprema Corte, nell’affrontare la problematica in questione, ha ripercorso i vari orientamenti che avevano contraddistinto le precedenti decisioni e, in particolare, ha riunito i vari indirizzi giurisprudenziali in tre filoni principali.

Nel primo vengono ricondotte le più risalenti e maggioritarie pronunce che, equiparano il credito di lavoro ad un credito di valore sul rilievo della diversità di disciplina, sul piano sostanziale e processuale, tra i crediti di lavoro e quelli di valuta.

A differenza che nei crediti di valuta infatti, in quelli di lavoro la pretesa risarcitoria viene soddisfatta senza bisogno di costituire in mora il debitore, né di provare la colpa o il dolo dello stesso; sul piano processuale, inoltre, il credito di lavoro viene rivalutato d’ufficio e senza necessità della prova del danno, ossia in base a una presunzione assoluta.

L’art. 429 c.p.c. impone poi, una tecnica liquidatoria affine a quella corrente per le obbligazioni di valore, sicchè la maggior somma dovuta per effetto della svalutazione monetaria non rappresenta il “maggior danno” previsto dal secondo comma dell’art.1224 del Codice Civile in ordine alle sole prestazioni originariamente pecuniarie, ma la commisurazione della prestazione pecuniaria ai nuovi valori della moneta.

Conseguentemente gli interessi legali vanno computati sul capitale rivalutato, come se si trattasse di calcolare un danno aquiliano.

Il secondo filone comprende quelle pronunce che, pur mantenendo la medesima impostazione del primo filone, attenuano il vantaggio per il creditore-lavoratore. Queste pronunce, infatti, ritengono che gli interessi debbano essere calcolati, a partire dalla data di scadenza dei singoli crediti, con riguardo non all’importo della somma originaria, bensì alle frazioni di capitale, via via rivalutate sulla base degli indici di svalutazione, fino alla pubblicazione della sentenza e al saldo effettivo.

La base di calcolo degli interessi non è cosi’ quella massima bensi’ quella gradualmente incrementata. Solo in tal modo infatti, si riuscirebbe a realizzare un effettivo rapporto di accessorietà tra capitale ed interessi e a garantire il principio di produttività del reddito non goduto.

Nel terzo filone infine, rientra, la più recente giurisprudenza secondo cui gli interessi legali ex art.429 c.p.c. devono essere calcolati sull’importo originario del credito e non su quello risultante dalla rivalutazione nella sua misura massima finale, o sulle somme rivalutate periodicamente. Questo orientamento considera il credito di lavoro come un credito di valuta e la rivalutazione come un risarcimento del danno della stessa natura di cui all’art.1224 del Codice Civile; da ciò l’autonomia dei due crediti: quello alla rivalutazione e quello agli interessi e dei relativi criteri di calcolo. Il criterio base a cui la giurisprudenza fa riferimento, nel seguire un simile orientamento, è “il principio dell’indifferenza”, secondo il quale per il danneggiato deve essere economicamente equivalente l’essere risarcito in un tempo piuttosto che in un altro.

La Suprema Corte, una volta terminata quest’attenta analisi giurisprudenziale, ha ritenuto di aderire al secondo dei sopracitati orientamenti, quello “intermedio”. Secondo la Corte, infatti, non vi è motivo di discostarsi dall’opinione secondo cui “tanto l’art.1224 cod. civ. quanto l’art.429 cod.. proc. civ., attraverso l’attribuzione rispettivamente del “maggior danno” e della rivalutazione aggiunta agli interessi legali, perseguano due distinti scopi: maggior danno e rivalutazione tendono ad annullare, attraverso rispettivamente la prova del danno e l’indicizzazione del credito, la perdita patrimoniale del creditore soddisfatto tardi, mentre gli interessi liquidano in maniera forfettaria e senza bisogno di prova il mancato vantaggio della liquidità”.

Né il calcolo degli interessi sul capitale comunque rivalutato, determina un eccesso di tutela nei confronti del creditore. Un tale calcolo, che impone al debitore un aggravio aggiuntivo rispetto all’obbligo risarcitorio, è conforme alle intenzioni del legislatore nella formulazione dell’art.429 c.p.c., il quale, alla finalità meramente risarcitoria della disposizione, ne aggiunge una concorrente di pena pecuniaria privata, e cioè lo scopo di dissuadere il datore di lavoro dalla “mora debendi” e dalla sperenza di investire la somma ancora dovuta in impieghi più lucrosi.