E’ stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore a partire dal 4 luglio, il decreto legislativo n. 231 dell’8 giugno, che prevede una responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni (anche prive di personalità giuridica), nel caso in cui siano commessi i reati di corruzione, di concussione, di frode ai danni dello stato da parte dei dirigenti o dei dipendenti delle stesse.

Un provvedimento dovuto, preso in osservanza delle legge di ratifica di una serie di convenzioni internazionali e sulla base delle legge delega 300/2000 con la quale si è introdotto nel nostro ordinamento il principio volto ad attribuire la responsabilità penale anche in capo alle persone giuridiche.

Lo scopo del legislatore è quello di combattere la corruzione: nel mirino della legge finiscono i reati di corruzione, di concussione, di indebita percezione di erogazioni, di truffa e frode informatica in danno dello stato o di un ente pubblico o di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, mediante una serie di deterrenti tanto di natura pecuniaria che di natura interdittiva.

Secondo la nuova normativa, l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da: a) persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia funzionale e finanziaria, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopraindicati (art.5 d.l. 231/2001).

La rilevante novità del provvedimento consiste nell’onere per le imprese, le quali vogliano esimersi da una tale responsabilità, di adottare al loro interno, dei modelli di organizzazione e di gestione idonei a scongiurare i predetti reati. Questi modelli sono adottati dalle imprese, sulle base dei Codici di Comportamento redatti dalle associazioni di categoria e debitamente approvati dal Ministero di Grazia e Giustizia di concerto con i ministri competenti, i quali possono effettuare le dovute osservazioni sull’idoneità dei singoli modelli.

I modelli dovranno contenere l’individuazione delle attività nel cui ambito possono esser commessi i reati e delle modalità di gestione delle risorse finanziarie destinate a simili attività, dei protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione di decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire, degli obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento dei modelli e un sistema disciplinare diretto a sanzionare eventuali violazioni degli stessi.

- Nel caso in cui il reato sia commesso da uno dei soggetti indicati all’art.5 lett.a), l’ente non risponde se prova che:

-l’organo dirigente ha adottato ed attuato efficacemente, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire

reati delle specie di quello verificatosi;

-il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo;

-le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione. (art. 6 d.l.231/2001)

- Per contro, nel caso in cui il reato sia commesso da uno dei soggetti di cui all’art.5 lett. b), l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di vigilanza o direzione dell’ente.

In ogni caso però, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza, se, prima della commissione del reato, l’ente ha adottato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. (art.7 d.l.231/2001)

Se nella sostanza i Codici di comportamento, possono sicuramente rafforzare il ruolo delle Associazioni di categoria e delle imprese, dall’altro, vista la rigida tipizzazione legislativa dei modelli (voluta dal legislatore probabilmente per arginare la discrezionalità del giudice) il rischio alla fine, è quello di creare degli schemi simili a manuali di procedura, molto astratti, poco efficienti per la realtà del caso concreto, con la inevitabile conseguenza di lasciare comunque alla libera scelta del giudice, (che spesso non possiede le specifiche conoscenze tecniche delle materia) il difficile compito di valutare se il modello sia stato attuato bene.

Gli enti rischieranno sanzioni pecuniarie fino a tre miliardi, sanzioni interdittive quali l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la revoca di licenze o autorizzazioni, il divieto di stipulare contratti con la pubblica amministrazione, l’esclusione di agevolazioni, finanziamenti, il divieto di pubblicizzare beni e prodotti oltre che la confisca del bene oggetto del reato e la pubblicazione della sentenza.

Il delitto tentato è comunque punito da sanzione ridotta di un terzo, ed in ipotesi di trasformazione dell’ente, una eventuale fusione o scissione non farà comunque venir meno la responsabilità per fatti antecedenti all’operazione finanziaria.

Il contenuto particolarmente afflittivo delle sanzioni previste dal legislatore, nell’ambito del d.l.231/2001, evidenzia la natura amministrativa della responsabilità come un necessario passaggio obbligato, aprendo in realtà la strada a una responsabilità con connotati tipicamente penalistici. Ne è riprova la scelta di modellare la procedura di accertamento dell’illecito amministrativo sul processo penale: infatti il giudice competente a conoscere l’illecito è il giudice penale competente per i reati dai quali lo stesso dipende e le disposizioni processuali che regolano le attività di accertamento seguono le regole in materia di indagini ed udienza preliminare previste dal codice di procedura penale.

E’ fatto obbligo al pm di annotare tra le notizie di reato anche quelle degli illeciti amministrativi dipendenti da reato, oltre alle generalità dell’ente e di quelle del rappresentante legale. Dal momento dell’annotazione decorre il termine per l’accertamento dell’illecito. Si apre così la fase delle indagini preliminari, il pm può decidere di disporre il segreto sulle annotazioni dell’illecito e all’ente sarà inviato l’informazione di garanzia con l’invito ad eleggere domicilio per le notificazioni.

Terminata la fase delle indagini preliminari, il pm potrà decidere di disporre l’archiviazione, con un procedimento più snello rispetto a quello del c.p.p., in cui è previsto un controllo del giudice; in questo caso infatti non esiste l’esigenza di controllare il corretto esercizio dell’azione penale, trattandosi di violazioni aministrative.

Oppure il pm potrà contestare l’illecito amministrativo dipendente da reato, e qualora il reato da cui l’illecito dipende sia estinto per prescrizione, senza che sia stato contestato l’illecito all’ente, verrà meno anche la potestà sanzionatoria amministrativa.

Le sentenze e i decreti che applicheranno agli enti sanzioni amministrative dipendenti da reato, saranno iscritti in registri tenuti dall’anagrafe nazionale istituita presso il casellario giudiziale centrale e saranno cancellate una volta trascorsi cinque anni dalla data di esecuzione, se la sanzione è pecuniaria o, di dieci, nel caso di diverse sanzioni.

Gli organi deputati all’accertamento degli illeciti hanno diritto di ottenere, per ragioni di giustizia il certificato dell’anagrafe, così come le pubbliche amministrazioni e gli enti incaricati di pubblici servizi nel caso in questo sia necessario per provvedere a un atto delle loro funzioni.

La particolarità e la novità dei principi contenuti nella nuova normativa darà sicuramente adito a molteplici dubbi interpretativi che potranno essere risolti nel tempo dall’interpretazione giurisprudenziale e/o dall’entrata in vigore di eventuali nuovi provvedimenti volti a chiarire e/o precisare la portata della nuova normativa.

STUDIO LEGALE GGM