La fattispecie del  licenziamento collettivo è disciplinata dall’art. 24 della legge 23 luglio 1991 n.223. Secondo tale norma, il licenziamento collettivo per riduzione del personale riguarda le imprese che occupano più di 15 dipendenti e ricorre qualora, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, l’impresa intende effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia (art.24, comma 1).

Secondo la dottrina e la giurisprudenza, per  unità produttiva si intende un’articolazione autonoma dell’impresa, dotata di autonomia strutturale e funzionale, avente cioè, sotto il profilo funzionale e finalistico, “idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni o servizi dell’impresa della quale è elemento organizzativo” (Cass. 17 marzo 1993 n.799; Cass. 21 ottobre 1992 n.11487),  connotata da “ indipendenza tecnica e amministrativa” (Cass. 9 giugno 1993 n.6413), di modo che “in essa si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale” (Cass. 20 aprile 1995 n.4432; Cass. 17 novembre 1993 n.11354; Cass. 9 giugno 1993 n.6413).

Le disposizioni relative al licenziamento collettivo si applicano inoltre a tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione (art.24, comma 1, ultima parte). Pertanto, in tal caso, il lavoratore eventualmente licenziato con una procedura individuale può impugnare il licenziamento invocando il collegamento al licenziamento collettivo intimato ad altri dipendenti della stessa impresa.

Il licenziamento collettivo sussiste “non solo se  il licenziamento sia conseguente ad una trasformazione strutturale dell’impresa che comporti soppressione di uffici, reparti, lavorazioni e, comunque, di elementi materiali dell’organizzazione, ma anche se esso dipenda da una effettiva e non temporanea contrazione dell’attività produttiva incidente sul solo elemento personale, anche in tal caso essendo collegato ad una scelta di carattere dimensionale dell’imprenditore” (Cass. 9 marzo 1995 n.2785; Cass. 17 giugno 1997 n.5419).

Più specificamente, secondo la giurisprudenza, “il licenziamento collettivo presuppone una stabile e non transeunte contrazione dell’attività produttiva, tale da rendere necessaria, con rapporto di causa ad effetto, la diminuzione del complessivo numero dei dipendenti, divenuto esuberante rispetto alle mutate esigenze aziendali; laddove una semplice riduzione dei posti di lavoro, non correlata ad alcuna riduzione dell’attività produttiva,  ma ad una più intensa utilizzazione della residua forza-lavoro, seppure tesa al fine di migliorare la produttività e la situazione economico-finanziaria dell’impresa, non è idonea a giustificare un licenziamento collettivo, ma bensì licenziamenti individuali plurimi” (Cass. 9 marzo 1995 n.2785; Cass. 29 novembre 1993 n.1115; Cass. 27 aprile 1992 n.5010).

Presupposto necessario per la sussistenza di un licenziamento collettivo è la pluralità dei licenziamenti (almeno 5 nell’arco di 120 giorni in ciascuna unità produttiva). Tuttavia, una fattispecie caratterizzata da un numero di  di licenziamenti intimati per motivi oggettivi appena al di sotto della predetta soglia e dalla compresenza di una serie di risoluzioni o dimissioni incentivate di altri rapporti di lavoro potrebbe essere ricondotta ad un caso  licenziamento collettivo (Pret. Milano, 28 giugno 1994).

Il licenziamento collettivo ex art.24 legge 223/91 deve essere intimato nel rispetto della procedura di consultazione sindacale prevista dall’art.4 della legge stessa.

Tale procedura consiste in due fasi, la prima a livello sindacale e la seconda a livello di Direzione Provinciale del Lavoro.

Prima fase (sindacale)

La prima fase della procedura inizia con l’invio da parte del datore di lavoro di una comunicazione scritta alle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art.19 dello Statuto dei lavoratori (o alle RSU) ed alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze, la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente   rappresentative sul piano nazionale, anche per il tramite dell’associazione dei datori di lavoro a cui l’impresa aderisca o conferisca mandato (art.4, comma 1).

La comunicazione scritta deve contenere l’indicazione con chiarezza e precisione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza, inclusi i motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità (c.d. motivi ostativi). Secondo la giurisprudenza, la generica o laconica indicazione dei motivi comporta l’illegittimtà dei licenziamenti, con conseguente obbligo del datore di lavoro di reintegrare i lavoratori e di corrispondere loro le retribuzioni dalla data del  licenziamento sino alla reintegra (art.18 Statuto  dei lavoratori).

Alla comunicazione va allegata la ricevuta del versamento all’INPS di una somma pari al trattamento massimo di cassa integrazione mensile moltiplicato per il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti. Tale versamento costituisce un’anticipazione del contributo di mobilità  posto a carico delle aziende, pari a 9 volte il trattamento mensile di mobilità spettante al lavoratore. Tale importo può essere versato in trenta rate mensili e può essere ridotto a tre volte (3 mensilità) nei casi di accordo sindacale (art.24, comma 3).

La comunicazione al sindacato e la ricevuta del versamento all’INPS vanno inviate anche alla Direzione Provinciale del lavoro.

Entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, a richiesta delle rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni di categoria, si procede ad un  esame congiunto tra le parti, per verificare la possibilità di una utilizzazione diversa del personale eccedente. Tale prima fase deve esaurirsi entro un termine di 45 giorni (di soli 23 giorni se i lavoratori eccedenti sono meno di 10), prorogabile su accordo delle parti.

In caso di raggiungimento di un accordo tra azienda e organizzazioni sindacali, l’azienda può intimare i licenziamenti collettivi concordati, nel rispetto dei termini di preavviso, senza dover attendere la scadenza dell’ulteriore termine per l’espletamento della seconda fase avanti alla Direzione Provinciale del lavoro, e beneficia della riduzione a 1/3 del contributo da versare all’INPS per il trattamento mensile di mobilità (3 mensilità anziché 9).

Seconda fase (avanti al Dir. Prov. del lavoro)

In mancanza di accordo, il direttore della Direzione provinciale del lavoro, ricevuta la comunicazione datoriale illustrante i motivi del mancato accordo,  convoca le parti al fine di un ulteriore esame  (seconda fase). Tale fase non può durare più di 30 giorni (15 se i dipendenti da licenziare sono meno di 10). Se in tale sede si raggiunge un accordo, pur nel silenzio della legge si ritiene che l’azienda possa ugualmente beneficiare del pagamento ridotto dell’indennità di mobilità.

Sia che si raggiunga l’accordo, che nell’ipotesi contraria, decorsi i termini sopra indicati, l’azienda può procedere ad intimare il licenziamento collettivo, nel rispetto dei termini di preavviso.

L’inosservanza della forma scritta e della procedura sopra descritta è sanzionata con l’inefficacia (nullità) del licenziamento, mentre la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare previsti dall’art.5 della legge stessa (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive e organizzative) rende annullabile il licenziamento.

In entrambi i casi, qualora il licenziamento venga dichiarato inefficace o annullato, il lavoratore ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro ex art.18 dello Statuto dei lavoratori, nonché al pagamento delle retribuzioni (comprensive dei contributi previdenziali e assistenziali) dalla data del licenziamento sino alla reintegra e, comunque, in misura non inferiore a 5 mensilità. Inoltre, la violazione dell’obbligo di comunicare preventivamente e per iscritto i motivi dell’esubero ed i motivi ostativi può configurare una fattispecie di condotta antisindacale ex art.28 dello Statuto dei lavoratori (Pret. Milano, 20 novembre 1995).

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