Sull’argomento della cumulabilità tra rivalutazione e interessi per i crediti di lavoro dei dipendenti di datori di lavoro privati, già da noi trattato nella circolare n.25 del maggio 2001, la Sezione Lavoro della Cassazione di recente è tornata ad esprimersi con la sentenza n.14143 del 2 ottobre 2002.
La Suprema Corte, infatti, sulla scia dell’ormai nota pronuncia della Corte Costituzionale n.459 del 2000 con cui quest’ultima ha stabilito che il divieto di cumulo tra rivalutazione del capitale ed interessi scaduti, sancito dall’art.22, comma 36° della Legge n.724/1994, si applica solo ai crediti previdenziali, assistenziali e a quelli dei dipendenti pubblici (anche se di enti privatizzati), ha confermato che il criterio di liquidazione che il Giudice del Lavoro deve utilizzare “quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro” (art.429 c.p.c.) è quello che prevede il calcolo degli interessi sul capitale di volta in volta rivalutato secondo “l’indice dei prezzi calcolato dall’ISTAT per la scala mobile per i lavoratori dell’industria” (art.150 disp. att. c.p.c.), a partire dalla data di scadenza dei singoli crediti fino al momento del loro soddisfacimento.
Per la liquidazione di tali crediti, quindi, i Giudici dovranno utilizzare le seguenti modalità: a partire dalla data di scadenza del credito di lavoro non corrisposto, il capitale originariamente dovuto dovrà essere rivalutato gradualmente sulla base dei coefficienti ISTAT e su tale importo dovranno essere calcolati gli interessi nella misura prevista annualmente ex lege e così di volta in volta fino al momento dell’effettivo soddisfacimento del lavoratore.

In questo modo la Cassazione sembra aver definitivamente chiarito i dubbi in merito al criterio da adottare nei casi di inadempimento dei datori di lavoro privati, riducendo la possibilità di interpretare diversamente il disposto del terzo comma dell’art.429 c.p.c.
La Cassazione esclude quindi tra i criteri di computo sia quello che prevedeva la liquidazione degli interessi sull’intero capitale rivalutato analogamente a quanto praticato per il danno aquiliano sia quello che prevedeva il calcolo degli interessi sul solo importo originario del credito scaduto senza tener conto in alcun modo della rivalutazione.

La soluzione scelta dalla Cassazione è infatti la più equilibrata in quanto da un lato la rivalutazione ex art.429 c.p.c., mediante il meccanismo della indicizzazione del credito, tende ad annullare la perdita patrimoniale del creditore soddisfatto tardivamente (danno emergente), mentre gli interessi liquidati in misura forfettaria sono diretti a risarcire il creditore dal mancato vantaggio della liquidità (lucro cessante).
Si tratta anche di una soluzione che non comporta un eccesso di tutela del lavoratore in quanto la ratio ispiratrice dell’art.429 c.p.c. non è quella di imporre al debitore un aggravio aggiuntivo rispetto a quello risarcitorio, bensì è quella di dissuadere il datore di lavoro dalla mora debendi e dalla speranza  di investire la somma dovuta e non ancora pagata al lavoratore in altre attività commerciali e finanziarie più lucrose.

Lo studio è a disposizione per ogni eventuale ed ulteriore chiarimento.

STUDIO LEGALE GGM