[Aprile 2003] - Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro
CONTRATTI A CAUSA MISTA, TIROCINI, CONTRATTI DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA, COLLABORAZIONE OCCASIONALE E NUOVE TIPOLOGIE CONTRATTUALI.
Nella precedente circolare n. 49, pubblicata sul sito “on line lex” il 28 marzo scorso, è stato sinteticamente illustrato il primo articolo della delega. In questa sede verranno proposti alcuni brevi spunti relativi ai soli temi sopra indicati, mentre le ulteriori novità contenute nel provvedimento in esame saranno trattate in una successiva circolare.
L’articolo 2 delinea novità rilevanti in materia di formazione, andando a modificare l’attuale disciplina dei contratti a causa mista (apprendistato e contratto di formazione e lavoro) e dei tirocini. La norma si muove, inoltre, nel rispetto delle competenze affidate alle Regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupazione.
Sin dalla comparsa dei contratti di formazione e lavoro (legge n. 863/1984) si era prodotta una sovrapposizione tra questo strumento e quello dell’apprendistato per alcune fasce d’età. Tale sovrapposizione era cresciuta con l’emanazione della legge n. 196/1997, con la quale si ampliavano le possibilità di utilizzo dell’apprendistato.
Da ciò è derivata per il legislatore l’esigenza di assegnare diversi ambiti e finalità ai due istituti. In base ai criteri direttivi dettati dall’articolo 2 della legge delega l’apprendistato sarà lo strumento principale di raccordo tra scuola e lavoro, sia all’interno del processo di formazione scolastica, sia come primo ed immediato inserimento nell’attività lavorativa a conclusione e perfezionamento del suddetto processo.
Per quanto riguarda il raccordo con l’attività scolastica, la delega ribadisce alcuni obiettivi già contenuti nel Dpr. N. 257/2000, tra i quali quello di realizzare la formazione obbligatoria fino al diciottesimo anno di età anche attraverso lo strumento dell’apprendistato. Le conoscenze e competenze in tal modo conseguite costituiscono crediti per l’accesso ai diversi anni dei corsi di istruzione secondaria superiore. L’attività di apprendistato rappresenta, dunque, una fase del processo di formazione, alternativo ed equipollente alla formazione svolta in aula.
I soggetti destinatari di tale istituto sono i giovani di età compresa tra i 16 ed i 24 anni, con estensione a 26 per le aree cosiddette svantaggiate (legge n. 196/1997, sopra citata). La durata dell’apprendistato è variabile (da non meno diciotto mesi a non più di quattro anni) e viene stabilita per le diverse categorie professionali dai contratti collettivi di lavoro.
Il contratto di formazione e lavoro sarà, invece, lo strumento prevalente attraverso il quale, conclusosi il processo scolastico, avverrà l’inserimento definitivo nel mondo del lavoro o il reinserimento dei lavoratori più adulti. Tale inserimento è dalla norma definito “mirato”, ovvero finalizzato all’adeguamento della professionalità posseduta dal lavoratore alle concrete esigenze dell’impresa che lo assume, e ciò attraverso interventi formativi predisposti dal datore di lavoro stesso.
I soggetti destinatari di tale istituto sono i giovani di età compresa tra i 15 ed i 32 anni, mentre i limiti di durata variano a seconda delle finalità specifiche che il rapporto vuole conseguire (professionalità elevate, intermedie, inserimento professionale), mai potendo comunque superare i ventiquattro mesi (legge n. 863/1984, sopra citata).
Gli obiettivi enunciati dalla legge delega relativi alle figure contrattuali a contenuto formativo (apprendistato e contratto di formazione e lavoro) riguardano, oltre alla valorizzazione dell’attività formativa svolta in azienda, come abbiamo appena avuto modo di vedere, anche il riconoscimento di competenze autorizzatorie in capo agli Enti Bilaterali. Tali enti potranno, quindi, presentare progetti di formazione, nonché valutare (e validare) progetti presentati da altri soggetti (come, ad esempio, le imprese).
Ulteriore novità è costituita dalla semplificazione e snellimento delle procedure di riconoscimento e di attribuzione degli incentivi connessi ai contratti a contenuto formativo. Rispetto a tale novità, comunque, per meglio comprenderne la concreta applicazione, si dovrà attendere l’emanazione dei decreti attuativi.
Per quanto concerne l’istituto del tirocinio, già disciplinato dall’articolo 18 della già citata legge n. 196/1997, la legge delega non indica obiettivi precisi, se non l’impegno a favorire, e quindi a regolamentare, la presenza in azienda di giovani ancora coinvolti nel loro processo di formazione scolastica, o che ne sono appena usciti, e che sono interessati a conoscere la realtà lavorativa. La finalità del legislatore appare, al riguardo, solo quella di creare un collegamento con il Disegno di Legge Moratti (delega in materia di norme generali sull’istruzione), il quale prevede la possibilità di svolgere la formazione, dai 15 ai 18 anni, attraverso l’alternarsi di periodi di studio e cicli di lavoro.
L’articolo 3 della legge delega detta i criteri direttivi per promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale. Alla luce, infatti, degli obiettivi in termini di incremento dei tassi occupazionali imposti dalle autorità comunitarie nell’ambito della cd. Strategia Europea per l’occupazione, la delega è orientata verso la concessione di un maggiore spazio all’autonomia negoziale, sia individuale che collettiva.
In tale ottica, il part – time è stato dal legislatore ritenuto una tipologia contrattuale particolarmente idonea a favorire l’incremento occupazionale, e, soprattutto, il tasso di partecipazione delle donne, dei giovani in cerca di prima occupazione, e dei lavoratori con età superiore ai 55 anni al mercato del lavoro (art. 3, comma 1).
I criteri direttivi dettati a tale fine prevedono l’agevolazione del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di part – time sia orizzontale (nei casi e nei modi previsti dai contratti collettivi, o, in mancanza di questi, sulla base del consenso del lavoratore interessato), sia verticale o misto (a fronte di una maggiorazione retributiva da riconoscere al lavoratore) (art. 3, comma 2, lett. a, b).
Il rilancio di questa tipologia contrattuale passa, inoltre, attraverso “la previsione di norme, anche di natura previdenziale, che agevolino l’utilizzo dei contratti a tempo parziale da parte dei lavoratori anziani al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione giovanile” (art. 3, comma 2, lett. d). Si tratta di una possibile e futura diminuzione degli oneri contributivi e previdenziali relativi alle ipotesi di part – time.
L’articolo 4, infine, oltre ad introdurre significative modifiche nella disciplina di tipologie contrattuali già esistenti, interviene per dettarne e regolamentarne di nuove.
Per quanto riguarda il settore dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la legge delega, contrariamente alla sua ispirazione originaria orientata verso l’introduzione di maggiore flessibilità, disciplina l’ingresso di una serie di obblighi e procedure nuovi.
I nuovi elementi dettati dal legislatore in proposito consistono, in primo luogo, nel requisito formale dell’atto scritto tra le parti, il quale deve necessariamente contenere la durata determinata, o comunque determinabile, del rapporto di collaborazione (perché legata, ad esempio, alla conclusione di un progetto); l’oggetto del contratto, anch’esso legato a uno o più progetti; l’indicazione del corrispettivo, che deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro (art. 4, comma 1, lett. c, n. 1).
In questo modo la fattispecie in esame viene normativamente ricondotta a uno o più progetti o programmi di lavoro, o fasi di esso. Tali elementi assumono, così, funzione caratterizzante ed individualizzante rispetto alle collaborazioni coordinate e continuative, distinguendole da altre ipotesi contrattuali (art. 4, comma 1, lett. c, n. 3).
In secondo luogo, si è prevista la costruzione di una griglia di protezione sociale, anche attraverso intese collettive, comprendente “tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a maternità, malattia, infortunio, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro” (art. 4, comma 1, lett. c, n. 4). E’ stata, inoltre, prevista la predisposizione di un adeguato sistema sanzionatorio nei casi di inosservanza delle disposizioni di legge (art. 4, comma 1, lett. c, n. 5).
Da tutti gli elementi normativi sopra indicati, introdotti dalla legge delega in materia di collaborazioni coordinate e continuative, emerge l’intenzione del legislatore di aggiungere nuovi tasselli alla disciplina attualmente vigente, in direzione di una minore flessibilità a fronte di maggiori tutele.
Il legislatore, inoltre, al fine di delineare in modo più netto i contorni di tale fattispecie contrattuale, ha fornito una definizione di lavoro occasionale, proprio per distinguerlo ulteriormente dalle collaborazioni coordinate e continuative. In base alle indicazioni fornite dalla legge delega, dovranno, quindi, considerarsi collaborazioni occasionali quelle in cui la durata del rapporto con lo stesso committente non si protrae per più di trenta giorni all’anno, “salvo che il compenso complessivo per la prestazione sia superiore a 5.000 euro” (art. 4, comma 1, lett. c, n. 2).
I criteri discriminanti tra le due ipotesi contrattuali sono stati individuati, dunque, nella estensione temporale (che non deve superare la soglia di trenta giorni l’anno con lo stesso committente) e nella misura del corrispettivo per la prestazione (che non deve sforare il limite di 5.000 euro all’anno).
L’enunciazione di tale principio, avente già forza e valore normativi, impone particolare attenzione nella fase di formalizzazione sia dei rapporti contrattuali, sia degli adempimenti fiscali (predisposizione delle fatture), onde evitare possibili contestazioni in ordine alla reale natura del rapporto da parte degli uffici competenti.
Per quanto riguarda le nuove figure lavorative previste dal provvedimento in esame, la prima tipologia introdotta dall’articolo 4 della legge delega è il cd. lavoro a chiamata, modello di rapporto di lavoro spesso utilizzato nel terziario e caratterizzato da prestazioni discontinue o a intermittenza.
Al riguardo, viene previsto il riconoscimento di una “congrua indennità ” a favore del lavoratore che garantisca al datore di lavoro la propria disponibilità ad effettuare prestazioni di tale genere, “così come individuate dai contratti collettivi /…/ o, in via provvisoriamente sostitutiva, per decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali” (art. 4, comma 1, lett. a).
La legge delega, infine, invita il legislatore delegato ad individuare forme di sperimentazione di tale tipologia di rapporto al fine di agevolare l’inserimento lavorativo di particolari categorie, quali i disoccupati di età inferiore ai 25 anni di età e i lavoratori con più di 45 anni iscritti nelle liste di mobilità e collocamento.
Altro modello contenuto nella legge 30/2003 è quello del lavoro a prestazioni ripartite (cd. job sharing). Tale istituto non è del tutto nuovo nel nostro ordinamento, essendo già stato regolamentato attraverso la circolare del Ministero del lavoro n. 43/1988. La sua scarsa diffusione ha indotto il legislatore delegante a prevederne una disciplina organica attraverso norme di legge ordinaria.
Al riguardo, quindi, è stata confermata dalla legge delega “l’ammissibilità di prestazioni ripartite tra due o più lavoratori, obbligati in solido nei confronti di un datore di lavoro, per l’esecuzione di un’unica prestazione lavorativa” (art. 4, comma 1, lett. e).
Per concludere, in base all’articolo 6 della legge 30/2003, “le disposizioni degli articoli da 1 a 5 non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate”.
Inoltre, l’articolo 7 dispone riguardo alle modalità e alla tempistica di esercizio della delega legislativa da parte del Governo. Gli schemi dei decreti legislativi saranno deliberati dal Consiglio dei ministri, sentite le associazioni sindacali più rappresentative dei datori e dei prestatori di lavoro. Gli schemi così deliberati saranno quindi trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della relativa delega. Nel caso dell’art. 2 è stato previsto il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega, mentre per gli articoli 3 e 4 il termine è di un anno. Il quinto comma di tale articolo, infine, dispone che “Dall’attuazione delle disposizioni degli articoli da 1 a 5 non devono derivare oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato”. Il che non depone bene per una rapida e concreta emanazione dei decreti delegati.
Per una reale comprensione delle riforme proposte dalla legge 30/2003 si dovrà, dunque, attendere di conoscere le scelte del legislatore delegato e i relativi decreti attuativi.
STUDIO LEGALE GGM