L’ISTITUTO DELLA CERTIFICAZIONE E LA RAZIONALIZZAZIONE

DELLE FUNZIONI ISPETTIVE

Nella precedente circolare n. 50, pubblicata sul sito “onlinelex”  in data 8 aprile, sono state sinteticamente illustrate le tipologie contrattuali già esistenti e solo modificate dalla legge delega, nonché quelle introdotte ex novo nel nostro ordinamento dalla riforma. In questa sede, a conclusione della sintetica illustrazione della legge 14 febbraio 2003, n. 30 di cui ci siamo brevemente occupati, verranno proposti alcuni brevi spunti relativi ai temi indicati in epigrafe.

L’articolo 5 della legge delega introduce il nuovo istituto della certificazione dei contratti di lavoro con l’esplicito obiettivo di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro.

La relativa procedura avrà una doppia finalità: da un lato, fornire assistenza alle parti in ordine alla predisposizione delle clausole presenti nell’accordo contrattuale, facilitando le stesse nel concordare il programma negoziale; dall’altro, fissare la qualificazione giuridica del contratto concluso dalle parti, operando, dunque, una serie di scelte regolative che condizioneranno la successiva tutela giurisdizionale del rapporto stesso.

L’utilizzo nell’ambito dei rapporti di lavoro di diverse tipologie contrattuali, infatti, comprese quelle di nuova istituzione o di nuova regolamentazione contenute nella legge delega e sinteticamente illustrate nella precedente circolare, ha spinto il legislatore a prevedere l’introduzione di uno strumento di  controllo. La certificazione del contratto sarà maggiormente utile nella qualificazione di quelle figure contrattuali atipiche, ovvero quelle appartenenti alla vasta area che si trova al confine tra lavoro subordinato standard e lavoro autonomo/parasubordinato.

Il legislatore delegante ha, inoltre, esplicitamente previsto che la disciplina definitiva del nuovo istituto della certificazione, ovvero quella che verrà indicata nei decreti attuativi, avrà, inizialmente, carattere meramente sperimentale. Il Governo dovrà, quindi, prevedere le modalità di verifica da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dell’attuazione delle emanande disposizioni, verifica che dovrà essere effettuata a ventiquattro mesi dalla data della loro entrata in vigore (art. 5, comma 1, lett. a).

Dalla norma in esame si evincono tre principi direttivi del nuovo istituto, concernenti, in primo luogo, il carattere volontario della procedura di certificazione; in secondo luogo, gli organi preposti alla relativa attività certificatoria; infine, il contenuto e l’efficacia giuridica dell’avvenuta certificazione.

Per quanto concerne il primo criterio direttivo, il legislatore si è limitato a enunciare il “carattere volontario della procedura” (art. 5, comma 1, lett. a). Al riguardo, è stato fin da subito sottolineato il rischio che non sia sufficiente la mera previsione formale della volontarietà  della procedura perché venga effettivamente garantita la libertà decisionale del lavoratore.

Di qui, l’auspicio che gli organi competenti, al fine di un reale rispetto del presupposto della volontarietà, non si limitino a richiedere la sussistenza di una comune istanza di avvio della procedura di certificazione (ovvero, del datore e del prestatore di lavoro), ma verifichino la presenza di una effettiva libertà di scelta dei soggetti coinvolti. In questo senso, sarà importante che la parte debole del rapporto possa accedere a (e, quindi, disporre di) tutte le informazioni utili ai fini dell’adozione della propria decisione.

Per quanto riguarda il secondo criterio direttivo, gli organi preposti alla certificazione del contratto di lavoro potranno essere individuati in “enti bilaterali costituiti su iniziativa delle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative”, ovvero in “strutture pubbliche aventi competenze in materia”, o, ancora, in “università” (art. 5, comma 1, lett. b).

Per quanto riguarda le strutture pubbliche competenti in materia, queste saranno molto probabilmente identificate con le Direzioni provinciali del lavoro (così come indicato nella “Relazione di accompagnamento della proposta del Governo per una delega in materia di mercato del lavoro”). Su tale identificazione sono state avanzate molte riserve, dal momento che, in questo modo, la funzione certificatoria verrebbe attribuita a soggetti già sovraccarichi di lavoro. Questa evenienza rischierebbe, quindi, di vanificare le intenzioni del legislatore.

Da più parti si è opportunamente sottolineata l’esigenza di contemplare l’istituzione di un unico soggetto certificatorio, idoneo ad assolvere tutte le funzioni enunciate nella norma in esame. Tale scelta fornirebbe maggiori garanzie di adeguatezza rispetto ai compiti previsti dall’articolo 5, i quali presuppongono sia una rigorosa padronanza della tecnica giuridica, sia l’attitudine a percepire i reali interessi sottesi al singolo caso concreto.

Per quanto riguarda il terzo criterio direttivo, il legislatore prevede esplicitamente “l’attribuzione di piena forza legale al contratto certificato /…/ con esclusione della possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione del programma negoziale da parte dell’organo preposto alla certificazione e di difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione” (art. 5, comma 1, lett. e).

La certificazione attiene, dunque, alle conseguenze giuridiche dell’accordo contrattuale, imprimendo a quest’ultimo piena forza legale, ovvero una sorta di “certezza pubblica”, fino ad un eventuale e diverso accertamento giudiziale. Invero, la norma sopra riportata non impedisce la tutela giurisdizionale dei diritti dei lavoratori o dei terzi, ma, secondo le intenzioni del legislatore, dovrebbe predisporre uno strumento teso ad evitare l’instaurazione di rapporti di lavoro simulati, ovvero formalmente autonomi ma sostanzialmente subordinati.

Infine, il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’articolo 410 c.p.c., nel caso in cui si intenda impugnare l’erronea qualificazione del contratto o la difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e quello concordato dalle parti in sede di certificazione, dovrà svolgersi dinanzi all’organo che ha effettuato la certificazione. In caso di ricorso in giudizio, l’autorità giudiziaria competente avrà l’obbligo di accertare anche le dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all’organo preposto alla certificazione (art. 5, comma 1, lett. f).

Per quanto riguarda, infine, la natura giuridica della certificazione, questa va analizzata singolarmente in relazione alle diverse funzioni attribuite all’istituto in esame.

La funzione di assistenza fornita alle parti nell’elaborazione del loro programma negoziale è configurabile quale vera e propria consulenza giuridica. A tal proposito, la giurisprudenza della Suprema Corte si è più volte espressa affermando che l’esercizio della consulenza legale prestata al di fuori di ogni attività giudiziale non presuppone l’iscrizione all’albo degli avvocati (Cass. 07/07/1987 n. 5906 e, successivamente, Cass. 08/08/1997 n. 7359).

Nell’ambito, invece, dell’attività di qualificazione giuridica del contratto di lavoro, l’atto di certificazione non accerta uno stato di fatto, ma qualifica un rapporto, determinando, così, le conseguenze giuridiche del comportamento contrattuale delle parti. Esso riguarda, dunque, la certezza non di fatti, ma di rapporti giuridici.

L’atto certificatorio assumerebbe, di conseguenza, una natura paragonabile a quella del provvedimento amministrativo, il quale assolve la funzione di “certezza pubblica”, ed è non solo materialmente redatto, ma anche giuridicamente imputabile all’organo che lo emana.  Di qui, l’auspicio che i principi contenuti nella legge 241/1990 in materia di procedimenti amministrativi (in particolar modo quelli di trasparenza, di obbligo di motivazione e di indicazione dell’autorità cui è possibile ricorrere) fungano da riferimento per il Governo nell’adozione dei decreti attuativi dell’articolo 5.

Per concludere, in base all’articolo 6 della legge 30/2003, “le disposizioni degli articoli da 1 a 5 non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate”.

L’articolo 8, “allo scopo di definire un sistema organico e coerente di tutela del lavoro”, detta le linee direttive del processo di razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di lavoro e previdenza sociale cui dovrà attenersi il Governo nell’emanazione dei decreti attuativi. La legge delega prevede, oltre al riassetto della disciplina in materia di ispezioni, anche la definizione di un quadro legislativo finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa, ed “ispirato a criteri di equità ed efficienza” (art. 8, comma 1).

Il secondo comma dell’articolo in esame detta i criteri direttivi di tale opera di razionalizzazione. Tra i principi enunciati emerge, in primo luogo, l’obiettivo di privilegiare l’attività preventiva rispetto a quella repressiva, in un ottica di promozione dell’osservanza degli obblighi dettati in materia.

La lettera a del secondo comma dell’articolo 8 prevede, infatti, che il sistema delle ispezioni sia improntato “alla prevenzione e promozione dell’osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, /…/, del trattamento economico e normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l’attività di consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata disciplina”. L’accento viene, dunque, posto sull’attività di prevenzione, privilegiando, nell’ambito della funzione ispettiva, quella di consulenza rispetto a quella repressiva.

Viene, inoltre, prevista la “definizione di un raccordo efficace fra la funzione di ispezione del lavoro e quella di conciliazione delle controversie individuali” (art. 8, comma 2, lettera b), ma sul punto il legislatore non indica alcuna linea guida.

Sempre finalizzato alla prevenzione è la seconda tipologia di intervento proposta dal legislatore, che alla lettera c del secondo comma prescrive la “ridefinizione dell’istituto della prescrizione e diffida propri della direzione provinciale del lavoro”.

Per meglio intendere tale enunciazione, è opportuno osservare che entrambi gli istituti (prescrizione e diffida) si riferiscono allo stesso provvedimento. In base all’articolo 9 del Dpr 520/1955, infatti, in caso di inosservanza di leggi la cui applicazione sia affidata all’Ispettorato del lavoro (oggi Direzione Provinciale del Lavoro), questo ha la facoltà di “diffidare” con apposita “prescrizione” il datore di lavoro, fissando un termine per la regolarizzazione della situazione. La diffida costituisce, dunque, il contenuto del provvedimento, mentre la prescrizione ne è la forma giuridica, rappresentando lo strumento tramite il quale l’ispettore comunica al destinatario la diffida.

L’attività ispettiva che potrebbe, dunque, rientrare nella nuova forma di flessibilizzazione varata con la legge in esame dovrebbe riguardare, per quanto concerne la materia previdenziale: tutti gli illeciti dolosi e colposi di natura formale (ovvero, non consistenti nel mancato pagamento dei contributi, pur se finalizzati a tali illeciti). Per quanto concerne la disciplina del rapporto di lavoro: le varie forme di collocamento, orari di lavoro e riposi settimanali, contratti collettivi, tutela delle lavoratrici madri e dei minori, contratti a tempo parziale, appalti, lavoro interinale e contratti formativi. In questo modo, estendendo il più possibile il ricorso alla procedura diffidatoria, viene conseguentemente ridotta la necessità di interventi repressivi da parte degli ispettori.

La disciplina dettata dalla legge delega prevede, inoltre, la “semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi e possibilità di ricorrere alla direzione regionale del lavoro” avverso gli eventuali provvedimenti sanzionatori adottati (art. 8, comma 2, lett. d), nonché la “semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica” (art. 8, comma 2, lett. e).

La lettera f del secondo comma, al fine di una riorganizzazione dell’attività ispettiva del ministero competente, prescrive l’istituzione di una direzione generale con compiti di coordinamento delle strutture periferiche del Ministero. In questo modo dovrebbe essere garantito un esercizio unitario della funzione ispettiva.

La lettera g delega, invece, la razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza, con attribuzione della direzione e del coordinamento operativo alle direzioni regionali e provinciali del lavoro sulla base delle direttive adottate dalla direzione generale di cui alla lettera f.

In base alle competenze legislative esclusive e concorrenti dettate a livello costituzionale e ribadite nella presente legge, dunque, l’attività ispettiva resterà, sia sotto il profilo organizzativo sia sotto quello funzionale, prerogativa dello Stato, il quale continuerà, dunque, ad esercitarla, dirigendo e coordinando i competenti organi locali.

Entro un anno dall’entrata in vigore degli emanadi decreti attuativi, inoltre, il Governo potrà emanare “eventuali disposizioni modificative e correttive /…/ attenendosi ai principi e ai criteri direttivi indicati al comma 2” (art. 7, comma 4 per l’istituto della certificazione; art. 8, comma 5 per la razionalizzazione delle funzioni ispettive).

Infine, l’articolo 7 dispone riguardo alle modalità e alla tempistica di esercizio della delega legislativa da parte del Governo per gli articoli da 1 a 5. Anche per l’attuazione dell’istituto della certificazione, dunque, gli schemi dei decreti legislativi saranno deliberati dal Consiglio dei ministri, sentite le associazioni sindacali più rappresentative dei datori e dei prestatori di lavoro. Gli schemi così deliberati saranno trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della relativa delega (che nel caso dell’art. 5 è stato fissato in un anno dalla data di entrata in vigore della legge delega). Qualora il termine decorra inutilmente, i decreti legislativi potranno essere comunque adottati.

Per quanto riguarda la razionalizzazione delle funzioni ispettive, invece, l’articolo 8 prevede che gli schemi dei decreti legislativi vengano direttamente trasmessi alle Camere per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega (che anche nel caso dell’articolo 8 è stato fissato in un anno dalla data di entrata in vigore della legge delega). Le suddette Commissioni esprimeranno il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine decorra inutilmente, i decreti legislativi potranno essere comunque adottati (art. 8, commi 3 e 4).

Sia nel caso dell’articolo 5 (ex art. 7, comma 5), sia nel caso dell’articolo 8 (art. 8, comma 6) il legislatore ha previsto che dall’attuazione delle deleghe suddette non devono derivare oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato. Tale prescrizione getta un’ombra sulla effettiva realizzazione di tutte le riforme contenute nella legge delega di cui ci siamo in questa sede occupati (circolare n. 49, n. 50 e n. 51).

Nell’attuale fase di “delega legislativa”, comunque, risulta di fatto difficile formulare giudizi sulla concreta efficacia delle novità contenute nella legge 30/2003. Per una reale comprensione delle innovazioni proposte da tale riforma è, dunque, opportuno attendere di conoscere le scelte che verranno operate dal legislatore delegato ed i relativi decreti attuativi.

STUDIO LEGALE GGM