[Settembre 2003] - Decreto attuativo della legge delaga in materia di occupazione e mercato del lavoro
SCOMPARSA DEL CONTRATTO DI COLLABORAZIONE
COORDINATA E CONTINUATIVA ED
ESORDIO DEL LAVORO A PROGETTO:
TAPPE APPLICATIVE DELLA RIFORMA E QUESTIONI INTERPRETATIVE.
Il Consiglio dei Ministri, in data 30 luglio 2003, ha varato in via definitiva il decreto legislativo con il quale si da attuazione agli articoli da 1 a 5 della legge delega 30/2003 emanata dal Parlamento per la riforma del mercato del lavoro.
La fase di prima applicazione della normativa dettata dalla legge 30/2003 avrà carattere sperimentale, dal momento che la stessa legge delega concede al Governo un ulteriore periodo di due anni per intervenire sulle materie oggetto di riforma con i decreti correttivi che, alla luce delle valutazioni operate in corso d’opera, riterrà opportuni.
L’entrata in vigore del decreto attuativo oggetto della presente circolare (che avverrà dopo 15 giorni dalla pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale) era prevista per i primi di settembre. Ad oggi il provvedimento non è ancora stato pubblicato, ma gli “addetti ai lavori” ritengono che ciò avverrà, al più tardi, entro i primi giorni di ottobre.
Dopo aver brevemente illustrato le linee guida e gli aspetti a nostro avviso più significativi della legge delega in tre precedenti circolari pubblicate sui siti “giemmelex.it” e “onlinelex.com”, ci occuperemo delle disposizioni applicative dei primi cinque articoli della stessa dettate al riguardo dal Governo.
L’importanza e la complessità delle innovazioni cui il decreto legislativo da attuazione rende opportuna una trattazione separata degli istituti previsti dal testo governativo. In questa prima circolare verranno dunque proposti alcuni brevi spunti relativi ai rapporti di collaborazione, che da coordinati e continuativi diventano “a progetto”, mentre le ulteriori novità contenute nel provvedimento in esame saranno trattate nelle prossime circolari.
Come abbiamo avuto modo di sottolineare nella circolare n. 50, per quanto riguarda il settore dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la legge delega, contrariamente alla sua ispirazione originaria orientata verso l’introduzione di maggiore flessibilità, ha disciplinato l’ingresso di una serie di obblighi e procedure nuovi, in direzione di una minore flessibilità a fronte di maggiori tutele. Più specificamente, gli elementi dettati dal legislatore in proposito consistono, in primo luogo, nel requisito formale dell’atto scritto tra le parti, il quale deve necessariamente contenere la durata determinata, o comunque determinabile, del rapporto di collaborazione; la necessaria indicazione dell’oggetto del contratto, riconducibile a uno o più progetti; nonché l’indicazione del corrispettivo, che deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro (L. 30/2003, art. 4, comma 1, lett. c, n. 1).
Vediamo, ora, in che termini le indicazioni contenute nella legge delega hanno ricevuto attuazione. L’articolo 61 del decreto legislativo introduce una nuova tipologia contrattuale, il lavoro a progetto, e dispone che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa ”. In sostanza, soltanto per le collaborazioni che potranno essere ricondotte ad uno o più progetti specifici, programmi di lavoro o fasi di esso sarà possibile la conversione del rapporto al nuovo tipo di contratto.
L’articolo 69 sancisce, inoltre, il divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici, ovvero privi dell’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, disponendo che tali rapporti saranno considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla loro data di costituzione.
La norma, facendo riferimento alla mancata “individuazione di uno specifico progetto o programma di lavoro o fase di esso”, pare riferirsi ad uno dei requisiti formali del nuovo contratto di collaborazione a progetto previsti a fini probatori dall’articolo 62 (articolo che di seguito illustreremo più dettagliatamente). Tra gli elementi indicati da tale norma, è, infatti, riportata anche “l’indicazione del progetto o programma di lavoro o fasi di esso” (art. 62, camma 1, lett. b).
Essendo tale indicazione un elemento formale, previsto dalla norma a fini probatori, parrebbe, allora, trattarsi di un caso di mera presunzione, la quale potrà essere vinta in sede giudiziale mediante la prova da parte del committente dell’esistenza concreta di un progetto, oggetto sostanziale del nuovo contratto di collaborazione.
Affermando, quindi, che i rapporti di collaborazione instaurati senza l’individuazione, intesa in senso formale, di un progetto (ovvero senza la mera trascrizione del progetto nel contratto) “sono considerati rapporti di lavoro subordinato”, il legislatore ha inteso creare una presunzione di legge a favore del collaboratore, ponendo a carico del committente l’onere di provare l’esistenza di un progetto, e, di conseguenza, la conformità del contratto stipulato alla legge.
Il secondo comma dell’articolo 69 stabilisce, infatti, che laddove il giudice accerti che il rapporto instaurato tra le parti ai sensi dell’articolo 61 configura in realtà un rapporto di lavoro subordinato, e quindi, laddove il committente non abbia fornito la prova dell’esistenza del progetto, il rapporto “si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi dalle parti”. Si ricorda infatti che, al di là delle novità normative introdotte dalla riforma, il principio fondamentale operante nell’ambito del diritto del lavoro consiste nella prevalenza degli aspetti sostanziali rispetto agli elementi meramente formali eventualmente con essi in contrasto.
Proseguendo nella lettura dell’articolo, al terzo comma il legislatore sottolinea che “il controllo giudiziale è limitato esclusivamente /…/ all’accertamento dell’esistenza di un progetto, programma di lavoro o fase di esso, e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente”. In sostanza, dunque, l’indagine che il giudice potrà condurre in sede giurisdizionale dovrà essere finalizzata esclusivamente alla verifica dell’esistenza di un progetto quale oggetto del contratto, senza poterne però sindacare la validità o l’opportunità nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
L’intera disciplina dettata dai tre commi dell’articolo 69 che abbiamo appena illustrato si riferisce ai rapporti di collaborazione instaurati sotto la vigenza del decreto legislativo, e dunque a contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore. Per tutti i rapporti pendenti è infatti prevista un’apposita disposizione transitoria, l’articolo 86, che riguarda i contratti di collaborazione posti in essere prima dell’entrata in vigore del presente decreto, articolo di cui ci occuperemo nella parte finale della circolare.
Le due disposizioni sulle quali ci siamo fin qui soffermati, gli articoli 61 e 69, sono da sole sufficienti a evidenziare l’indiscutibile centralità nell’ambito del nuovo panorama lavorativo del concetto di progetto, quale fulcro e discrimine tra diverse ipotesi contrattuali. Una corretta applicazione pratica del dettato normativo implica, dunque, che sia inequivocabilmente chiaro che cosa debba intendersi per progetto.
Al riguardo, i diversi testi legislativi non facilitano un’interpretazione univoca, dal momento che il concetto viene espresso, nei diversi passaggi della disciplina, in maniera non del tutto uguale: il Libro Bianco parlava di progetto o programma di lavoro o fase di esso; la legge 30/2003 parla di uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso; il decreto attuativo fa riferimento a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso. Sul punto, il sottosegretario al Lavoro si limita a dire, con una definizione a contrario, cosa il progetto non è, affermando semplicemente che “non si tratta dell’esecuzione di un’opera” (Il Sole – 24 Ore, 13 settembre 2003, n. 251).
Considerando che tale istituto sarà immediatamente applicabile con l’entrata in vigore del decreto legislativo, e che non saranno necessari ulteriori interventi da parte della contrattazione collettiva o del ministero (salvo, come precedentemente accennato, eventuali decreti correttivi), un simile “astrattismo” potrebbe rischiare di vanificare la stessa introduzione dell’intero istituto.
Dall’impostazione lessicale scelta per il testo definitivo varato dal Governo (“uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso”), parrebbe emergere l’intenzione del legislatore di fornire contenitori concettuali il più possibile ampi, in grado di accogliere realtà tra loro eterogenee. A conferma di ciò vale anche l’assenza di una definizione giuridica dei termini “progetto specifico” e “programma”.
La mancanza di tali definizioni determinerà, quasi certamente, non poche difficoltà nell’ambito della predisposizione formale dei nuovi contratti, e ciò anche alla luce della indubbia genericità dei termini utilizzati. Sarebbe lecito, quindi, domandarsi, a titolo esemplificativo, se il progetto sia un concetto più o meno ampio rispetto al programma, o se il progetto debba necessariamente o meno comprendere un programma, o, ancora, se progetto e programma possano consistere in ordinarie attività operative. Questi sono soltanto alcuni dei quesiti che ad oggi rimangono senza una risposta certa e che solo l’elaborazione giurisprudenziale e della dottrina potranno contribuire a risolvere.
Ma, al di là di ogni definizione e sottigliezza lessicale, dietro i concetti di “progetto” e “programma” deve sussistere effettivamente un rapporto di lavoro di natura sostanzialmente autonoma, ovvero senza vincolo di subordinazione (il progetto specifico o il programma deve, infatti, essere gestito “autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato /…/”, art. 61, comma 1).
Per quanto riguarda, invece, i requisiti formali previsti per le nuove collaborazioni a progetto, il testo legislativo non pone particolari questioni interpretative. L’articolo 62 del decreto legislativo, infatti, come precedentemente accennato, si limita a riprendere quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, lett. c, n. 1 della legge delega.
Il contratto di lavoro a progetto dovrà essere stipulato in forma scritta e dovrà contenere, come precedentemente accennato a fini probatori, una serie di elementi tassativamente indicati dal legislatore delegato. I cinque requisiti formali previsti per le nuove collaborazioni sono dall’articolo 62 elencati come segue: indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto; il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; le forme di coordinamento tra il lavoratore a progetto e il committente sull’esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicare l’autonomia del lavoratore nell’esecuzione dell’obbligazione lavorativa; e, infine, le eventuali misure per la tutela della salute e la sicurezza del collaboratore a progetto, ferma restando l’applicazione delle norme di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive modifiche e integrazioni, qualora la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente, nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e le disposizioni sul processo del lavoro (art. 66, comma 4).
Per quel che riguarda i diritti riconosciuti alla nuova figura del collaboratore a progetto, la disciplina dettata dal decreto non esclude l’applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il lavoratore (art. 61, comma 4).
Oltre a quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 66, il decreto precisa che la gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore non comportano l’automatica estinzione del contratto, il quale, in questo lasso di tempo, rimane sospeso senza l’erogazione del corrispettivo (art. 66, comma 1).
Con riguardo a malattia ed infortunio, inoltre, la nuova disciplina riserva un ruolo rilevante alla volontà delle parti in sede di contrattazione individuale, disponendo che, in tali casi, la sospensione del rapporto non comporta la proroga della durata del contratto, il quale si estinguerà dunque alla scadenza prevista, salvo che i contraenti abbiano stabilito un diverso accordo contrattuale (art. 66, comma 2).
In caso di gravidanza, invece, la durata del rapporto è prorogata ex lege per un periodo di 180 giorni, salvo, anche qui, una disposizione del contratto più favorevole per la donna (art. 66, comma 3).
Esclusa l’ultima ipotesi illustrata, “il committente può comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita dal contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile” (art. 66, comma 2).
Il legislatore ha, poi, stabilito il criterio per la determinazione del corrispettivo spettante al collaboratore, il quale dovrà essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito. Tale determinazione dovrà inoltre tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni lavorative autonome nel luogo di esecuzione del rapporto (art. 63).
Anche questa disposizione, la cui ratio è certamente più riconducibile ai rapporti di lavoro subordinato, potrà, nell’ambito di lavori a progetto eseguiti in équipe, provocare intuibili problematiche applicative e probabili rivendicazioni.
Una disposizione ad hoc è dedicata alla disciplina delle invenzioni del collaboratore: l’art. 65 stabilisce, infatti, che il lavoratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore delle invenzioni fatte nello svolgimento del rapporto.
L’articolo 67 disciplina, poi, l’estinzione del contratto, stabilendo che la realizzazione del progetto o del programma di lavoro o della fase di esso indicato nel contratto ne comporta la risoluzione (comma 1). Il recesso prima della scadenza stabilita o prima della realizzazione del progetto o del programma di lavoro o di una sua fase, sarà possibile solo in presenza di giusta causa ovvero “secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale” (comma 2).
Anche in questo caso, dunque, come per eventuali ipotesi di proroga possibili in caso di malattia, infortunio gravidanza, la volontà delle parti assume un’importanza notevole, poiché a loro è lasciata la possibilità di tracciare, attorno al nucleo delineato dal legislatore, i contorni del rapporto che, di fatto, intendono attuare. Al di là delle disposizioni di legge, la reale portata della forza contrattuale effettivamente esercitabile dal collaboratore nell’ambito della definizione dell’assetto contrattuale sarà valutabile soltanto sulla base dell’esperienza concreta.
In ogni caso, i diritti previsti per il collaboratore dalle disposizioni finora illustrate possono formare oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto (art. 68).
Il quadro dei rapporti tra committente e collaboratore include, infine, il divieto per quest’ultimo, di svolgere attività in concorrenza con l’attività del committente. Inoltre, il lavoratore non dovrà diffondere notizie o apprezzamenti relativi ai programmi e all’organizzazione dell’attività (art. 64, comma 2). Si tratta, in sostanza, di un generale obbligo di fedeltà e riservatezza posto a carico del collaboratore a progetto, al quale, salvo un diverso accordo tra le parti, resta consentito di svolgere la propria attività in favore di più committenti (art. 64, comma 1).
Il secondo comma dell’articolo 61 opera una prima delimitazione del campo di applicazione delle disposizioni dettate per le collaborazioni a progetto, escludendo dalla disciplina fin qui illustrata le prestazioni occasionali, ovvero i “rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro, nel qual caso trovano applicazione le disposizioni contenute nel presente capo”.
Le prestazioni occasionali non rientrano, dunque, nell’ambito delle collaborazioni a progetto laddove si verifichino le condizioni temporali ed economiche espressamente stabilite dal decreto legislativo. La disposizione appena richiamata definisce, infatti, le prestazioni occasionali come quelle derivanti da rapporti di lavoro di durata complessiva non superiore a trenta giorni svolti nello stesso anno solare e con il medesimo committente. Il che induce a ritenere possibile la ripetizione di tali rapporti nel corso degli anni, fermo restando il limite complessivo annuale.
Il terzo comma dell’articolo 61, proseguendo nel delineare i limiti di applicazione della presente disciplina, elenca i settori non sottoposti alle disposizioni fin qui illustrate. In particolare, tali disposizioni non si applicano alle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, ai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e ai partecipanti a collegi e commissioni, nonché a coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia. Infine, sono esclusi dall’applicazione di tale disciplina i rapporti e le attività di collaborazione continuativa resi a fini istituzionali a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni.
Per quanto riguarda l’esclusione delle professioni intellettuali, oltre al limite della necessaria iscrizione in appositi albi professionali, è previsto che tali albi siano esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.
L’esplicita esclusione prevista per i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società è collegata alla previsione della legge 80/2003, che ha delegato il Governo alla “revisione della disciplina dei redditi derivanti dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa espressamente definiti, con inclusione degli stessi nell’ambito dei reddito di lavoro autonomo” (art. 3, comma 1, punto 8 legge 80/2003). Amministratori, sindaci e revisori contabili saranno, pertanto, ricondotti nell’ambito dei percettori di reddito da lavoro autonomo. Considerando, comunque, che questi rapporti non trovano origine in un contratto, tale esclusione si configura più come una precisazione che come un’innovazione.
Per quanto riguarda il settore del pubblico impiego, il decreto legislativo stabilisce che le nuove disposizioni non si applicano al personale della pubblica amministrazione, fatte salve alcune previsioni espressamente estese al settore pubblico. Per quello che in questa sede ci interessa, ovvero le disposizioni relative alle collaborazioni a progetto, è prevista l’esclusione della loro applicazione a tale settore. Ne consegue, dunque, che in questo ambito si potranno continuare a stipulare contratti di collaborazione anche a tempo indeterminato e, comunque, non riconducibili a un progetto, programma di lavoro o fasi di esso (ferma restando l’assenza di vincoli di subordinazione).
Sul punto è già intervenuto il Consiglio di Stato con una sentenza relativa ai requisiti di indipendenza e infungibilità caratterizzanti l’incarico professionale nel settore pubblico. Secondo i giudici del Consiglio, gli incarichi di collaborazione con un ente locale sono compatibili con la sussistenza di elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato (quali l’osservanza di un certo orario di lavoro o la concessione di ferie e permessi), purché vi siano elementi sostanziali che marchino l’autonomia nelle modalità di svolgimento dell’attività e la infungibilità della stessa con una prestazione di lavoro subordinato (Cons. di Stato, sez. V, sent. n. 5144 del 15 sett. 2003).
Al settore pubblico non si applicano, inoltre, i criteri previsti dall’articolo 61, comma secondo, in ordine alla determinazione del rapporto di lavoro occasionale.
Tutta la disciplina finora delineata prevede, come abbiamo avuto modo di accennare, una normativa che sarà immediatamente applicabile non appena entrerà in vigore il presente decreto legislativo. In ordine al profilo del nuovo istituto della collaborazione a progetto, infatti, non sono necessari ulteriori interventi da parte della contrattazione collettiva o del ministero.
Per quanto riguarda il regime transitorio, il testo governativo prevede che i contratti di collaborazione in essere (e quindi i contratti instaurati prima dell’entrata in vigore del presente decreto legislativo), i quali non possano essere ricondotti ad un progetto, “mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento” ( art. 86, comma 1).
Ciò significa che i contratti di collaborazione coordinata e continuativa eventualmente stipulati da oggi alla data di entrata in vigore del decreto legislativo (ovvero 15 giorni dopo la pubblicazione del testo sulla Gazzetta Ufficiale), laddove non siano riconducibili ad un progetto, e fatta, ovviamente, sempre salva la possibilità da parte del lavoratore di contestare la loro reale natura, manterranno efficacia (ovvero continuano ad consistere nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa) fino, al massimo, a settembre / ottobre 2004.
Proseguendo, però, la lettura dell’articolo 86 relativo al regime transitorio, si legge che “termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime”.
In sostanza, dunque, viene data alla contrattazione collettiva la possibilità di mantenere in vita una tipologia contrattuale diversa da quella voluta dal legislatore con la presente riforma. Si prevede, infatti, a favore della contrattazione collettiva, il potere di derogare alla legge senza che venga contestualmente stabilito un limite temporale a tale deroga.
Il legislatore, inoltre, sul punto non si limita a demandare alla contrattazione collettiva nazionale, ma rimanda addirittura a quella di livello aziendale. La norma fa, infatti, riferimento ad “accordi sindacali di transizione /…/ stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale”.
Quindi, le collaborazioni coordinate e continuative, stipulate da oggi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, non riconducibili a un progetto potrebbero, in linea teorica, restare in vita per un tempo indeterminato. La durata di tali contratti dipenderà, infatti, dalla forza contrattuale che avranno le singole aziende di imporre alle organizzazioni sindacali il mantenimento di un contratto che, dal punto di vista legislativo, non esiste più.
Quanto appena detto appare ancora più curioso se si considera la disciplina dettata per i rapporti che sorgeranno dopo l’entrata in vigore del presente provvedimento. E’ infatti lo stesso decreto legislativo ad imporre, come visto a proposito dell’articolo 69, la conversione dei rapporti di collaborazione non riconducibili a un progetto in contratti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto.
In conclusione, dunque, il legislatore delegato da un lato vieta di porre in essere nuovi contratti di collaborazione coordinata e continuativa, disponendo che le collaborazioni non riconducibili a progetto subiranno la conversione in rapporti di lavoro subordinato (art. 69), dall’altro consente che i contratti di collaborazione già esistenti al momento dell’entrata in vigore del presente decreto, i quali non siano riconducibili a un progetto, potrebbero rimanere in essere sine die in base ad accordi sindacali “di transizione” (art. 86).
Lo studio rimane a disposizione per qualsiasi tipo di chiarimento.
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