[Luglio 2004] - Azioni di responsabilità contro gli amministratori di S.p.A. (artt. 2393, 2393 bis, 2394, 2395 c.c.)
La riforma del diritto societario ha introdotto una serie di novità in tema di azioni di responsabilità contro gli amministratori delle s.p.a., novità finalizzate a tutelare maggiormente le minoranze dei soci.
Innanzitutto occorre precisare che le azioni di responsabilità si distinguono in due tipi: sociale e individuale.
Nell’ambito delle azioni sociali di responsabilità il legislatore ha previsto che la legittimazione a promuovere tali tipi di azioni spetta sia alla società stessa (art.2393 c.c.) sia alle minoranze qualificate di soci (art.2393 bis c.c.).
Nel primo caso l’azione è promossa dalla società, anche se in liquidazione, in seguito alla deliberazione dell’assemblea, deliberazione che può essere presa in occasione della discussione del bilancio anche se non prevista tra le materie da trattare all’ordine del giorno purchè “si tratti di fatti di competenza dell’esercizio cui si riferisce il bilancio”.
Da tale deliberazione assembleare non consegue automaticamente la revoca dall’ufficio per l’amministratore interessato dall’azione di responsabilità, ma occorre che la deliberazione sia presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l’assemblea deve altresì provvedere alla sostituzione degli amministratori.
Per l’esercizio dell’azione di responsabilità il legislatore ha comunque previsto un termine, ritenuto dai primi interpreti di decadenza, di cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica.
Inoltre una volta promossa tale azione, la società può rinunciare o può transigere purchè la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione assembleare e non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che:
- rappresenti almeno un quinto del capitale sociale,
- rappresenti almeno un ventesimo del capitale di rischio per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,
- rappresenti la diversa misura prevista nello statuto.
Questo tipo di azione di responsabilità, però, è stata sempre scarsamente applicata in quanto, a causa dei condizionamenti interni che gli amministratori potevano esercitare sui soci, difficilmente si raggiungevano le maggioranze necessarie per deliberare la proposizione di azioni risarcitorie con la conseguenza che almeno sul piano civilistico gli amministratori fino all’entrata in vigore della nuova normativa hanno goduto di una sorta di sostanziale irresponsabilità.
Per ovviare a questi problemi, il legislatore ha ritenuto opportuno prevedere un ulteriore tipo di azione sociale di responsabilità esercitabile dalle minoranze dei soci, azione peraltro già sperimentata per le società quotate e prevista dall’art.129 del TUF.
Tale azione sociale può essere esercitata dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale (o la diversa misura prevista nello statuto, comunque non superiore al terzo) o, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, dai soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale (o la minore misura prevista nello statuto).
Occorre precisare che se pur la legittimazione attiva spetta ai soci, ciò non muta la natura sociale di tale azione ma comporta soltanto che i soci, in qualità di sostituti processuali, agiscano surrogandosi alla società e facendo quindi valere un diritto proprio di quest’ultima.
Ciò trova altresì conferma tanto nel tenore letterale dell’art.2393 bis quanto nelle prime interpretazioni di questo articolo.
Infatti l’art. 2393 bis prevede che la società venga chiamata in giudizio e pertanto i soci dovranno notificare l’atto di citazione al presidente del collegio sindacale.
Inoltre al comma V dello stesso articolo è previsto che in caso di accoglimento della domanda ai soci-attori spetta solo il rimborso da parte della società delle spese di giudizio nonché delle spese sopportate dagli stessi nell’accertamento dei fatti che il giudice non abbia posto a carico degli amministratori soccombenti o che non sia stato possibile recuperare a seguito della loro escussione. Da ciò i primi interpreti hanno dedotto che gli amministratori soccombenti in giudizio dovranno corrispondere le somme liquidate dal giudice a titolo di risarcimento dei danni direttamente alla società e non ai soci che hanno promosso l’azione.
Infine l’art. 2393 bis prevede per i soci il diritto di rinunciare all’azione o a transigere con la conseguenza che ogni corrispettivo per la rinuncia o per la transazione sarà a vantaggio della società.
L’analisi delle azioni di responsabilità non può, infine, prescindere da un accenno alle azioni di natura individuale spettanti ai creditori sociali (art.2394 c.c.) e ai singoli soci e terzi (art.2395).
Per quanto riguarda la disciplina di queste azioni è rimasta sostanzialmente invariata, ma soprattutto per l’azione dei creditori solo di recente si è affermata la tesi che si tratta di un’azione diretta e non surrogatoria.
A sostegno di tale tesi si è osservato che l’azione dei creditori può essere esperita anche nei casi in cui non è più esercitabile quella sociale. Più specificamente i creditori sociali possono agire nei confronti degli amministratori anche nel caso in cui sia decorso il termine di prescrizione dell’azione sociale avendo le due azioni termini prescrizionali diversi, oppure nel caso di rinuncia all’azione sociale o di transazione. In quest’ultimo caso, però, i creditori, come previsto dal comma 3 dell’art.2395, possono impugnare la transazione solo con l’azione revocatoria.
Per quanto riguarda l’azione spettante ai singoli soci e ai terzi è un’azione soggetta al termine di decadenza quinquennale e volta ad accertare la responsabilità extracontrattuale degli amministratori, i quali con atti dolosi o colposi, inerenti il proprio ufficio e non, abbiano leso direttamente il patrimonio personale dei soci e dei terzi.
L’esperimento di tale azione non impedisce comunque ai soci e ai terzi lesi di poter agire anche nei confronti della società per far accertare ai sensi dell’art.2049 c.c. una responsabilità di quest’ultima per colpa in eligendo e in vigilando.
Dalla possibilità data ai singoli soci e ai terzi di esperire entrambe le azioni appena sopra citate (art.2395 e art.2049 c.c.) si può concludere che ancora una volta il legislatore ha manifestato la volontà di superare il vecchio problema dell’immunità degli amministratori, i quali restavano impuniti invocando a loro difesa il rapporto organico intercorrente con la società di appartenenza.
Restiamo a disposizione per qualsivoglia chiarimento.
Studio Legale Galanti Gelfi Meriggi & Partners
LombardConsulting
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