Premessa

In tema di diritto di recesso occorre innanzitutto rilevare il mutato atteggiamento del legislatore, il quale prima della riforma ha visto sempre con diffidenza tale istituto in quanto preoccupato maggiormente a garantire la stabilità e l’interezza del patrimonio sociale.

Per tale motivo il legislatore aveva previsto una disciplina del diritto di recesso comune alle s.p.a. e alle s.r.l. prevedendo tassative e non derogabili ipotesi di recesso individuabili:

-          nel vecchio art.2437 c.c. (cambiamento dell’oggetto e del tipo societario, trasferimento della sede sociale all’estero),

-          nell’art. 2343 (rilevazione di una minusvalenza superiore ad un quinto a seguito della revisione della stima del valore dei beni o crediti conferiti),

-          per le sole società quotate nell’art.131 D.lgs. 24.2.1998 n.58 – TUF – (caso di recesso dei soci dissenzienti da deliberazioni di fusione o scissione che avessero comportato l’assegnazione di azioni non quotate).

Si precisa, altresì, che sulla natura tassativa e non derogabile delle ipotesi di recesso sopra elencate si era formata un giurisprudenza costante (vd. sentenza della Cass. n.5790 del 28.10.1980) .

Con la riforma del diritto societario, invece, il legislatore ha ritenuto di dover riformare l’istituto del diritto di recesso alla luce di una maggiore autonomia statutaria e di conseguenza ha dovuto inevitabilmente aumentare le ipotesi di recesso legale e prevedere in determinati casi, che successivamente verranno  affrontati, la possibilità che lo statuto contempli altre ipotesi di recesso (sul punto sono espliciti gli articoli 3, secondo comma, lett. f,  4, nono comma, lett. d Legge delega n.366/2001).

Oltre che per questo motivo, la diffidenza nei confronti del diritto di recesso è stata superata anche perché a tale diritto è stata riconosciuta una duplice funzione, una economica e una giuridica.

La funzione economica del recesso consiste nell’assicurare al socio che abbia investito un proprio capitale  nell’impresa sociale di disinvestire lo stesso più agevolmente.

Ciò dovrebbe essere un ottimo deterrente per favorire gli investimenti in società di capitali chiuse (s.p.a. non quotate e che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e s.r.l.).

La funzione giuridica consiste nel ritenere il recesso uno strumento di tutela delle minoranze sia del singolo socio all’interno della propria società sia del socio di minoranza all’interno di gruppi di società (sul punto è chiaro l’art. 10, lett.d, Legge delega n.366/2001)

Il recesso, pertanto, garantirà al socio di minoranza uno spazio di dissenso consentendogli di liberarsi dagli abusi della maggioranza (cosiddetto diritto di exit).

Infine, è altresì evidente che con la nuova disciplina del recesso il legislatore ha inteso mediare fra gli interessi individuali del socio  da un lato e le esigenze di integrità del patrimonio sociale dall’altro.

Ipotesi di recesso nelle S.p.A. (art.2437 c.c.)

Le ipotesi di recesso previste  dall’art.2437 c.c. sono classificabili in  3 gruppi:

1.      ipotesi di recesso legale inderogabili;

2.      ipotesi di recesso legale derogabili;

3.      ipotesi di recesso statutarie.

Ipotesi di recesso legale inderogabili

Il comma primo dell’art. 2437 ha innanzitutto fatto chiarezza in merito ai soggetti legittimati ad esercitare il diritto di recesso. Questi sono i “soci che non hanno concorso alle deliberazioni” e non più solo i soci “dissenzienti”. Pertanto sono legittimati anche i soci assenti ed astenuti.

Inoltre il diritto di recesso può essere esercitato dal socio per tutte le sue azioni o per parte di esse.

Tale regola anche se contenuta nel primo comma è generale e pertanto applicabile anche nelle altre ipotesi di recesso ad eccezione del caso di recesso previsto dalla disciplina sui gruppi all’art.2497 quater, primo comma, lett. b. (pronuncia in favore del socio di condanna di chi esercita attività di direzione e coordinamento).

Passando ora ad analizzare quali sono le diverse deliberazioni  assembleari che comportano il diritto di recesso dei soci che non vi abbiano concorso, occorre evidenziare subito che alle lettere a, b, c del primo comma dell’art.2437 sono riprese, con sostanziali modifiche, le precedenti ipotesi di recesso contenute nel vecchio art.2437.

La lettera a, infatti, prevede non più semplicemente il “cambiamento dell’oggetto sociale”, ma “la modifica della clausola dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società”.

Con tale formulazione il legislatore ha inteso rimediare agli inconvenienti riscontrati nel vigore della precedente norma. Infatti l’espressione “cambiamento dell’oggetto” è stata utilizzata in modo eccessivo fino a ricomprendere mere modificazioni formali dell’oggetto sociale oppure modificazioni sostanziali dell’attività sociale che però non davano origine a modifiche formali dell’atto costitutivo.

In questo modo si spera che sia stato risolto tale problema e pertanto il recesso può essere esercitato solo in presenza di cambiamenti formali dello statuto e sostanziali dell’attività sociale.

Per quanto riguarda l’ipotesi della deliberazione della “trasformazione della società” (prima deliberazione del cambiamento del “tipo” di società), occorre rilevare che la formulazione della norma può sollevare dubbi che oramai si ritenevano superati.

Infatti se è vero che ogni trasformazione  societaria comporta un mutamento del tipo di società non è altrettanto sicuro che un mutamento di tipo possa derivare solo dalla trasformazione. Per cui correttamente si dovrà interpretare che il diritto di recesso si potrà esercitare anche nel caso di dissenso da deliberazioni di fusione e scissione, quando queste comportino la trasmigrazione dei soci della società incorporata in una compagine sociale di tipo diverso da quella di provenienza.

Inalterata, invece, è la disposizione che prevede il diritto di recesso nel caso di trasferimento della sede sociale all’estero.

Inoltre il legislatore ha previsto ulteriori casi di recesso inderogabile.

Infatti il socio è legittimato ad esercitare il diritto di recesso nel caso in cui non ha contribuito a deliberare:

-          la revoca dello stato di liquidazione,

-          le modificazioni statutarie concernenti i diritti di voto o di partecipazione spettante ai soci,

-          le modificazioni dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso,

-          la riduzione delle cause di recesso previste dal comma secondo dell’art.2437 o dallo statuto,

Oltre a questi casi, sono previste ipotesi di recesso inderogabile nel terzo comma dell’art.2437, nell’art. 2437 quinquies c.c. per le società con azioni quotate sui mercati regolamentati e nell’art. 34, ultimo comma, Dlgs 17.1.2003 n.5 in materia societaria, bancaria, e di intermediazione finanziaria.

L’art. 2437, terzo comma, c.c. prevede nel caso di sole società non quotate in un mercato regolamentato e costituite a tempo indeterminato che i soci possano recedere senza necessità che vi sia sta una specifica deliberazione purchè diano un preavviso di almeno 180 giorni; lo statuto può, però, prevedere un termine di preavviso maggiore, comunque non superiore ad un anno.

Tale norma soddisfa una duplice esigenza, ossia da un lato quella del socio a non rimanere per sempre prigioniero della società consentendogli di recedere ad nutum e dall’altro quella della società alla stabilità patrimoniale e finanziaria imponendo al socio di recedere dando un preavviso variabile da un minimo di 180 giorni ad un massimo di un anno, a seconda della previsione statutaria.

Per le società quotate l’art. 2437 quinquies prevede l’esercizio del diritto di recesso in caso di deliberazioni che “comportano l’esclusione dalla quotazione”.

La norma ha recepito nonché esteso la portata del già citato art. 131 del TUF e sembra riferibile anche a società quotate in mercati regolamentati esteri o ai casi di trasferimento della quotazione da un mercato regolamentato all’altro o, infine, in caso di fusione con società quotata in altro mercato.

L’art. 34, ultimo comma, Dlgs n.5/2003 riconosce il diritto di recesso in favore dei soci “assenti e dissenzienti” in caso di modifiche dell’atto costitutivo introduttive o soppressive di clausole compromissorie.

Infine l’art.2437, ultimo comma, sancisce che nelle ipotesi di recesso legale inderogabili “è nullo ogni patto volto ad escluderne o renderne più gravoso l’esercizio del diritto di recesso”.

Ipotesi di recesso legale derogabili e statutarie

Tra le ipotesi di recesso legale derogabili il legislatore ha previsto all’art.2437, secondo comma c.c., quella della deliberazione di proroga del termine di durata della società e quella di deliberazione che introduce o rimuove i vincoli di circolazione dei titoli azionari.

Per quanto riguarda la prima ipotesi non vi è alcun rilievo se non quello che la stessa non opera se la società (non quotata) è a tempo indeterminato in quanto si applica il terzo comma dell’art. 2437 c.c. già esaminato nel paragrafo precedente.

Per quanto riguarda la seconda ipotesi conferma l’ammissibilità di delibere che introducono o eliminano a maggioranza clausole statutarie di gradimento o di prelazione incidenti sulla circolazione dei titoli azionari. Pertanto tale norma va coordinata con l’art. 2355 bis, secondo e terzo comma.

Il comma secondo dell’art. 2355 bis consente che nello statuto delle società azionarie vengano inserite clausole di mero gradimento solo se sia previsto il diritto del socio alienante di vendere le proprie azioni alla società o agli altri soci o di recedere. Si tratta di un’ipotesi di recesso legale derogabile, ma l’efficacia di tale clausola dipende dal fatto che il recesso (o  il diritto di vendita) sia previsto dallo statuto.

Analogamente il terzo comma prevede in caso di clausole che sottopongono a determinate condizioni il trasferimento mortis causa delle azioni che dette clausole siano efficaci solo se lo statuto prevede il diritto di vendita o di recesso in favore degli eredi del socio defunto.

Qualora si tratti di clausola di gradimento il diritto di alienazione o di recesso è destinato a venire meno in presenza della manifestazione del gradimento all’ingresso degli eredi nella società.

Infine la novità di maggior rilievo è quella contenuta nel quarto comma dell’art.2437 il quale sancisce che “lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso”.

Si tratta quindi delle cosiddette ipotesi di recesso statutarie consentite solo alle società non quotate (società chiuse) in quanto nelle società quotate (società aperte) l’interesse del socio al disinvestimento è sufficientemente tutelato dal fatto stesso dell’esistenza di un mercato regolamentato che gli consente di cedere le proprie azioni.

Termini e modalità di esercizio (art. 2437 bis c.c.)

L’art. 2437 bis c.c. disciplina i termini e le modalità di esercizio del diritto di recesso prevedendo che il socio che non abbia concorso alla deliberazione può esercitare il diritto di recesso mediante lettera raccomandata da spedire entro 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera stessa che lo legittima indicando le sue generalità, il domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, il numero e la categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato.

Se il fatto che legittima il recesso è diverso da una deliberazione tale diritto è esercitato con le modalità anzidette entro 30 giorni dalla conoscenza del fatto medesimo da parte del socio. Si pone in quest’ultimo caso un problema di provare il momento esatto in cui il socio viene a conoscenza del fatto che lo legittima a recedere.

La conseguenza immediatamente collegata all’esercizio del diritto di recesso è quella del congelamento delle azioni del socio recedente, il quale non può cedere dette azioni, ma deve depositarle presso la sede sociale (secondo comma, art. 2437 bis).

Da tale congelamento delle azioni, sorgono comunque delle problematiche relative soprattutto alla possibilità da parte del socio recedente di esercitare i suoi diritti corporativi (es. partecipazione all’assemblea e diritto di voto, impugnazione di delibere assembleari o consiliari, esercizio dell’azione di responsabilità) nel periodo compreso tra la sua dichiarazione di recesso e il termine di effettiva liquidazione delle somme allo stesso spettanti.

Ai primi commentatori appare difficile poter negare al recedente l’esercizio di tali diritti dato che il suo status di socio non è ancora definitivamente venuto meno e ciò potrebbe anche non verificarsi dato che, come previsto nell’ultimo comma dell’art.2437 bis, il recesso potrebbe perdere la sua efficacia se la società, entro 90 giorni, revoca la delibera che ha dato impulso a tale azione o delibera lo scioglimento della società stessa o se i creditori sociali propongono opposizione.

Piuttosto che negare tali diritti al socio che manifesta la volontà di recedere, occorrerà valutare di volta in volta l’eventuale posizione di conflitto di interessi in cui lo stesso potrebbe venirsi a trovare nel caso in cui partecipi a deliberazioni successive rispetto a quella che ha motivato la sua dichiarazione di recesso.

Criteri di determinazione del valore delle azioni e procedimento di liquidazione (artt. 2437 ter, 2437 quater c.c.)

Prima di analizzare i singoli criteri di determinazione del valore delle azioni è importante evidenziare che il legislatore ha opportunamente sostituito il riferimento al bilancio dell’ultimo esercizio come parametro per tale determinazione al fine di evitare liquidazioni penalizzanti per il socio recedente, rischio, peraltro, molto consistente nella prassi.

Per le società per azioni non quotate il legislatore ha previsto che “il valore delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni” (art.2437 ter, secondo comma, c.c.).

Per quanto riguarda, invece, le società quotate “il valore di liquidazione delle azioni quotate su mercati regolamentati è determinato facendo espresso riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero la ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso” (art. 2437 ter, terzo comma, c.c.).

Una questione da chiarire per le s.p.a., soprattutto per le non quotate, è quella di stabilire il momento di riferimento della valutazione delle azioni del socio recedente ovvero il termine entro cui il socio deve essere informato del valore delle azioni onde poter valutare consapevolmente la convenienza o meno a recedere.

La questione riguarda soprattutto i casi di recesso non legittimati da una deliberazione bensì da un fatto.

Infatti nel caso in cui il recesso dipenda da una deliberazione il momento di riferimento per la determinazione del valore delle azioni è stato individuato dal legislatore nel quindicesimo giorno anteriore alla data fissata per l’assemblea in cui verrà votata la deliberazione legittimante il recesso (art. 2437 ter, quinto comma c.c).

Per quanto riguarda invece i casi di recesso diversi da una deliberazione il legislatore non ha previsto un analogo riferimento normativo.

In presenza, quindi, di tale lacuna normativa, i primi commentatori, facendo leva sulla disposizione del comma IV dell’art.2437 ter che prevede la derogabilità per mezzo dello statuto dei criteri legali di determinazione del valore delle azioni, hanno ipotizzato che sarebbe opportuno che lo statuto contenga disposizioni idonee ad ovviare a tale problema.

Più  concretamente hanno sostenuto che lo statuto potrebbe prevedere, al manifestarsi di un fatto diverso da una deliberazione che legittima il recesso, che il socio possa richiedere agli amministratori, entro 15 giorni dal momento in cui ne viene a conoscenza, la determinazione del valore delle azioni.

In alternativa, lo statuto potrebbe prevedere un obbligo degli amministratori a determinare il valore delle azioni al verificarsi di un fatto che legittima il recesso nonché ad informare i soci in modo che venga determinato con certezza il momento da cui decorrono i 30 giorni per l’esercizio del diritto di recesso e della contestuale contestazione di cui all’art. 2437 ter, sesto comma c.c.

Oltre a tali problemi, ad avviso dello scrivente, occorre evidenziare che per quanto riguarda le società per azioni non quotate la determinazione del valore delle azioni e la sua contestazione, se non verranno disciplinate statutariamente con modalità e termini diversi da quelli previsti dal legislatore, obbligheranno gli amministratori a redigere e ed a far conoscere ai soci, entro 15 giorni prima dell’assemblea fissata, una situazione patrimoniale ad hoc ogni qual volta una deliberazione possa dar luogo, anche solo potenzialmente, ad un motivo di recesso.

È evidente che il sistema così strutturato potrà dare origine a numerosi problemi di carattere pratico in quanto renderà più oneroso e complicato il lavoro degli amministratori delle società per azioni non quotate prima di ogni assemblea.

Si è già anticipato che i criteri legali di determinazione del valore delle azioni, sono derogabili statutariamente.

In tale ipotesi il legislatore ha reintrodotto come parametro il bilancio, il quale presumibilmente dovrà servire a indicare solo gli elementi patrimoniali di esso suscettibili di rettifica ai fini della liquidazione della quota nonché altri elementi utili per tale valutazione.

Se ne deduce che nei casi di criteri statutari occorrerà specificare i limiti su cui si baserà la liquidazione e probabilmente tali criteri tenderanno ad esser più rigidi di quelli previsti dal legislatore.

Inoltre, dopo aver già anticipato che il socio recedente può contestare la determinazione del valore fatta dagli amministratori, si precisa per completezza che tale contestazione può essere proposta, contestualmente alla dichiarazione di recesso, con un’azione stragiudiziale ex art.1349 c.c.

Il valore di liquidazione, pertanto, verrà determinato entro 90 giorni dall’esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato, su istanza della parte più diligente, dal Tribunale.

Nel caso di mancata determinazione del valore di liquidazione o di determinazione errata o iniqua da parte dell’esperto, si potrà procedere con la contestazione giudiziale vera e propria.

Il legislatore, infine, ha previsto all’art. 2437 quater, il procedimento di liquidazione della quota.

Innanzitutto gli amministratori offrono in opzione agli altri soci e, se vi sono obbligazioni convertibili, ai possessori di queste in concorso con i soci, le azioni del socio recedente in proporzione al numero delle azioni possedute e sulla base del rapporto di cambio.

L’offerta in opzione è depositata presso il registro delle imprese entro 15 giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione e nel termine non inferiore di 30 giorni dal deposito di tale offerta deve essere esercitato il diritto di opzione. Inoltre chi esercita il diritto di opzione e fa contestuale richiesta ha diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni rimaste non optate.

Le azioni o parti di azioni del recedente non acquistate dai soci possono essere collocate dagli amministratori presso terzi acquirenti.

In caso di mancato acquisto delle azioni o da parte dei soci o di terzi, la società stessa provvede al rimborso in favore del socio recedente provvedendo essa stessa all’acquisto di dette azioni utilizzando le riserve disponibili.

In assenza di utili e di riserve disponibili, deve essere convocata l’assemblea straordinaria per deliberare o la riduzione del capitale sociale, riduzione a cui i creditori sociali possono opporsi entro 3 mesi dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese (terzo comma art. 2445 c.c.), o lo scioglimento della società.

Nel caso in cui l’opposizione venga accolta la società si scioglie (ultimo comma art.2437 quater c.c.), mentre se il tribunale non ritiene fondato il pericolo di pregiudizio per i creditori o la società ha prestato idonea garanzia, dispone che la riduzione abbia luogo nonostante l’opposizione (quarto comma art.2445 c.c.).

Pur se la norma nulla dice al riguardo si dovrà ritenere inoperante il recesso nei casi di mancato collocamento delle azioni ed eventuale scioglimento della società.

Lo studio resta a disposizione per qualsiasi chiarimento e approfondimento sulle tematiche affrontate nella presente circolare.

Studio Legale Galanti Gelfi Meriggi & Partners

LombardConsulting

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