Il rapporto di lavoro dirigenziale rientra nell’area della cosiddetta libera recedibilità (recesso ad nutum o libero) e, pertanto, ai sensi dell’art.10 della legge 604/1966, non è assoggettato, in linea generale, alla disciplina limitativa dei  licenziamenti individuali prevista per gli altri lavoratori subordinati (quadri, impiegati e operai). Tuttavia, secondo un recente orientamento giurisprudenziale, la regola della licenziabilità ad nutum  dei dirigenti e l’esclusione delle garanzie procedimentali di cui all’art.7 della legge n.300/1970, delle quali si tratterà in distinto articolo di prossima pubblicazione, varrebbero solo per i dirigenti in posizione verticistica (dirigenti apicali) e non anche nei confronti della media e bassa dirigenza (dirigenti minori: in tal senso Cassazione 8 novembre 2005 n.21673, 28 ottobre 2005 n.21010, 9 aprile 2003 n.5526, 28 maggio 2003 n.8486, 9 agosto 2004 n.15351). Quest’ultimo orientamento, che trae origine da una non recentissima sentenza della Corte Suprema (Cass. Sezioni Unite n.6041/1995), porta alle estreme conseguenze la distinzione fra dirigenti di vertice e dirigenti minori, distinzione che peraltro non trova  riscontro, né nelle norme positive di legge né nelle norme della contrattazione collettiva. Il nuovo indirizzo appena descritto, attraverso un’interpretazione apparentemente limitativa del principio della libera recedibilità, giunge ad ipotizzare una sorta di parificazione dei dirigenti minori agli altri lavoratori subordinati, sotto il profilo dell’applicazione delle norme limitative dei licenziamenti individuali, con possibili ripercussioni sulla gestione dei rapporti con detti dirigenti che, allo stato, non sono facilmente prevedibili. Tale orientamento, ad oggi disatteso dalla prevalente giurisprudenza di merito,  non pare condivisibile in quanto, come correttamente rilevato anche in dottrina, le varie figure di dirigenza (alta, media e piccola) non sono altro che articolazioni interne della medesima categoria professionale, configurata unitariamente sia dall’art.2095 cod. civ. che dalla contrattazione collettiva (in tal senso, Gramoccia, in nota a Cass. n.21673/2005). Le indicazioni fornite da detto orientamento sarebbero invece maggiormente condivisibili se applicate allo “pseudo dirigente” o “dirigente convenzionale”, figure che del dirigente possiedono solo il nomen, senza che ad esso corrispondano adeguate mansioni e responsabilità decisorie.

Il licenziamento del dirigente deve essere intimato per iscritto (art.2, comma 4, della legge 604/1966) con contestuale indicazione della motivazione (art. 22 CCNL dirigenti aziende industriali; art.33 CCNL dirigenti aziende del terziario). Secondo la giurisprudenza, il licenziamento del dirigente, intimato senza la contestuale specificazione dei motivi è, indipendentemente da ogni indagine, ingiustificato e, pur conservando la sua efficacia, determina in capo al datore di lavoro l’obbligo di  corrispondere, oltre al preavviso, l’indennità supplementare prevista dai contratti colletivi (in tal senso Cass. 14 gennaio 1987 n.214; Cass. 28 settembre 1988 n.5260). Inoltre, anche al rapporto di lavoro dirigenziale si applica il principio della necessaria tempestività del licenziamento, per cui ai fini della giustificatezza di quest’ultimo è  necessaria una formulazione specifica dei motivi ed una sufficiente contiguità temporale tra i fatti posti a fondamento della decisione del datore di lavoro e l’interruzione del rapporto (in tal senso Cass. 11 luglio 2002 n.10113).

Passando all’esame delle varie tipologie di cessazione del rapporto, l’ipotesi più grave è certamente quella del recesso per giusta causa. Si tratta di ipotesi in cui una delle parti ritiene che il rapporto fiduciario sia tanto compromesso da non poter proseguire, neanche provvisoriamente. Tale compromissione si traduce, quindi, in una grave ed irrimediabile lesione del vincolo fiduciario che deve necessariamente sussistere tra il datore di lavoro ed il dirigente, vista la sua particolare autonomia decisionale. In tale situazione il datore di lavoro, o il dirigente se la “causa” sia imputabile al primo, possono recedere in via immediata dal rapporto contrattuale ai sensi dell’art.2119 cod. civ. La sussistenza o meno della predetta “giusta causa” va naturalmente valutata caso per caso, tenendo presenti le singole fattispecie. Di indubbio ausilio, in tema, è la casistica giurisprudenziale. A titolo esemplificativo, è stata configurata una giusta causa di licenziamento: 1) a seguito della violazione da parte del dirigente del divieto, espressamente sancito in sede contrattuale, di non esercitare altre attività retribuite o gratuite e di non costituire direttamente o indirettamente altre imprese concorrenti (in tal senso Cass. 1 settembre 2004 n.17582); 2) quando il dirigente, peraltro responsabile del settore commerciale, abbia assunto la qualità di socio e di amministratore di un’impresa concorrente (in tal senso Cass. 7 novembre 2000 n.11166); 3) nel caso di rifiuto del dirigente di ritirare un documento e di firmare per ricevuta, rivolgendo espressioni ingiuriose nei confronti del presidente della società, alla presenza di dipendenti e collaboratori (in tal senso Tribunale Torino 3 ottobre 1997).

Per contro non è stata ravvisata una giusta causa di licenziamento: 1) quando il dirigente di azienda commerciale si era assunto aree di competenza non proprie, organizzando la produzione interna di una macchina che la società aveva sino a quel momento acquistato da terzi. In tal caso è stata invece configurata un’ipotesi di giustificatezza del licenziamento (in tal senso Tribunale Milano 8 gennaio 2001); 2) quando il dirigente, nel corso di trattative informali con il direttore del personale per una risoluzione consensuale del rapporto, e in un momento di alterazione a fronte di offerte ritenute irrisorie, aveva affermato che la società si sarebbe pentita della mancata accettazione delle sue diverse proposte, essendo lo stesso a conoscenza di situazioni che avrebbero potuto “far chiudere le filiali” e “bloccare l’attività dell’azienda” (in tal senso Cass. 28 dicembre 1999 n.14637); 3) quando il dirigente, in nome  e per conto della società, aveva sottoscritto una modifica di precedenti patti contrattuali, rivelatasi poi eccessivamente onerosa per l’azienda. Anche in tal caso, sono stati invece ravvisati i meno gravi connotati di giustificatezza del licenziamento (in tal senso Tribunale Milano 19 aprile 1997).

La casistica giurisprudenziale sinteticamente richiamata  conferma che la “giusta causa” deve quindi consistere in fatti obiettivamente gravi. Va tenuto altresì presente che il licenziamento del dirigente - se specificamente correlato alle modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative - deve essere sorretto da motivazioni tanto più specifiche e dettagliate quanto più è vasto l’ambito di operatività dello stesso dirigente (in tal senso Cass. 8 novembre 2001 n.13839).

Nel caso di licenziamento per giusta causa al dirigente non sarà dovuto né il preavviso né, tanto meno, l’indennità supplementare prevista dai CCNL di volta in volta applicabili.

Altra ipotesi di interruzione del rapporto, tuttavia meno grave, è quella del licenziamento giustificato, ovvero sorretto da “giustificatezza”. La nozione di “giustificatezza” non si identifica con quella di giusta causa o di giustificato motivo di cui agli articoli 1 e 3 della legge 604/1966 applicabili ai dipendenti non dirigenti. Il licenziamento ingiustificato del dirigente si verifica tutte le volte in cui il datore di lavoro eserciti il proprio diritto di recesso violando il principio fondamentale di buona fede nell’esecuzione del contratto, in attuazione di un comportamento puramente pretestuoso, ovvero del tutto irrispettoso dell’osservanza delle regole procedimentali che assicurano la correttezza dell’esercizio del diritto (in tal senso Tribunale Milano 31 gennaio 1997; Cass. 14 maggio 1993 n.5531). La nozione di “giustificatezza”, quindi, consiste nell’assenza di arbitrarietà ovvero nella ragionevolezza del provvedimento che dispone il licenziamento, fondato su valide ragioni, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede (in tal senso Cass. 8 novembre 2002 n.15749, Cass. 6 ottobre 1998 n.9896, Tribunale Milano 16 marzo 2005). In applicazione dei principi appena sopra illustrati, il licenziamento del dirigente è stato ritenuto giustificato dalla casistica giurisprudenziale: 1) in caso di soppressione del posto di lavoro, motivata da esigenze di riorganizzazione aziendale finalizzate ad una più economica gestione dell’impresa (in tal senso Cass. 13 novembre 1999 n.12603); 2) in caso di effettiva ristrutturazione aziendale che aveva comportato la smobilitazione della struttura a cui era preposto il dirigente licenziato (in tal senso Cass. 13 gennaio 2003 n.322); 3) per il mancato raggiungimento degli obiettivi prefigurati al momento del conferimento dell’incarico, potendo le parti attribuire rilievo decisivo, ai fini del mantenimento del rapporto, al raggiungimento di determinati risultati minimi di produttività, ovvero all’esito positivo di determinate operazioni finanziarie o all’attuazione di un programma di riorganizzazione aziendale finalizzata ad una più economica gestione dell’impresa, o del ramo di essa, affidato al dirigente (in tal senso Cass. 3 aprile 2002 n.4729); 4) per il mancato accoglimento, da parte del dirigente, di richieste di missione all’estero, in quanto rifiuto incompatibile con la collaborazione richiesta a tale figura professionale (in tal senso Cass. 28 aprile 2003 n.6606).

Per contro, sempre la casistica girurisprudenziale ha ritenuto il licenziamento privo di “giustificatezza”, e quindi ingiustificato: 1) nel caso di licenziamento intimato al dirigente per asserita riorganizzazione aziendale, con assegnazione degli stessi compiti ad altro soggetto (in tal senso Tribunale Roma 24 marzo 2004); 2) in caso di licenziamento conseguente al rifiuto, da parte del dirigente, di effettuare rettifiche irregolari ai dati contabili aziendali, destinati ad essere inseriti nel bilancio di esercizio, non essendo detto comportamento improntato a mancata collaborazione, ma diretto ad evitare irregolarità nella predisposizione del bilancio (in tal senso Cass. 8 novembre 2002 n.15749).
Avv. Marco Emanuele Galanti
Studio Legale Galanti Gelfi Meriggi

(Tratto dal Sole 24 Ore – Norme e tributi del 23/10/2006)