Il licenziamento del dirigente d’azienda ha natura disciplinare se il datore di lavoro addebita al dirigente un comportamento negligente o, in senso lato, colpevole. In caso di licenziamento disciplinare del dirigente si applicano in linea generale le garanzie procedimentali dettate dall’art.7 della legge 20 maggio 1970 n.300 (Statuto dei lavoratori). Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, le garanzie suddette si applicano solo al dirigente appartenente alla media e bassa dirigenza (“dirigente minore” o “pseudo dirigente”),  escluso il dirigente apicale (“top manager” o “alter ego”) collocato al vertice dell’organizzazione aziendale (Cass. Sezioni Unite, 29 maggio 1995 n.6041; Cass. 8 novembre 2005 n.21673; Cass. 13 maggio 2005 n.10058). Si segnala tuttavia che la Corte, in una recente sentenza ha ritenuto applicabili dette garanzie a prescindere dalla specifica posizione del dirigente nell’ambito dell’organizzazione aziendale (Cass. 2 marzo 2006 n.4614). In tale sentenza si superano quindi i dubbi interpretativi derivanti dalla distinzione, agevole in teoria ma non certo nella pratica, fra dirigenti di vertice dell’azienda (dirigenti apicali) e dirigenti appartenenti alla media e bassa dirigenza (dirigenti minori), distinzione frutto di una interpretazione giurisprudenziale che non trova alcun riscontro nella nozione unitaria di dirigente prevista sia dall’art. 2095 c.c. che dalla contrattazione collettiva di settore. La procedura garantistica prevista dall’art.7 della legge n.300/70 prevede la contestazione per iscritto, tempestiva e specifica oltre che immutabile dei fatti addebitati. La contestazione deve essere preventiva, stante l’impossibilità per il datore di lavoro di irrogare il licenziamento  prima di aver contestato l’addebito e di aver sentito l’interessato a sua difesa. Il dirigente, ricevuta la contestazione, ha l’onere di presentare al datore di lavoro, entro cinque giorni dal ricevimento della stessa, le proprie difese e giustificazioni, sia in forma scritta che orale, con l’assistenza o meno di un rappresentante sindacale, chiedendo eventualmente, nell’ambito delle proprie giustificazioni scritte e nel termine a difesa suddetto, di essere sentito personalmente a discolpa. Ricevute le giustificazioni e comunque trascorsi 5 giorni dalla contestazione in assenza di giustificazioni, il datore di lavoro può procedere al licenziamento disciplinare. Nelle more della procedura di contestazione disciplinare, il datore di lavoro può sospendere cautelarmente il dirigente: la sospensione cautelare non è un provvedimento disciplinare e non comporta la sospensione della retribuzione. La violazione delle garanzie suddette non comporta la nullità del licenziamento, ma l’impossibilità di tenere conto dei comportamenti irritualmente posti a base del licenziamento ai fini della valutazione della sua giustificatezza e, quindi, dell’esclusione del diritto del dirigente all’indennità sostitutiva di preavviso e all’indennità supplementare (Cass. 13 maggio 2005 n.10058; Cass. 19 dicembre 1997 n.12902). Nella prassi molto spesso non è agevole stabilire con sicurezza se il dirigente ricopra o meno una posizione apicale; in tali casi è sicuramente opportuno che il licenziamento disciplinare venga in ogni caso comunicato nell’osservanza delle garanzie procedimentali di cui all’art.7 della legge n.300/70, a prescindere dalla posizione ricoperta dal dirigente nell’organizzazione aziendale.

Il licenziamento è ingiurioso quando, per la forma e le modalità della sua adozione e per le conseguenze morali e sociali che ne derivano, rappresenta un atto ingiurioso, cioè lesivo del decoro, della dignità e/o dell’onore del dirigente licenziato (Cass. 13 giugno 2005 n.12642; Cass. 14 maggio 2003 n.7479). Quindi, il licenziamento ingiurioso non è correlato alla motivazione dello stesso, ma bensì alla sua forma di adozione e di comunicazione. Ove il licenziamento rappresenti di per sé un atto ingiurioso, al dirigente spetta il risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa ex art.1226 c.c. (Trib. Milano 30 giugno 2003), purché il dirigente dimostri di aver subito  conseguenze pregiudizievoli, lesive sul piano sociale o morale (Trib. Milano, 31 ottobre 2001; Pret. Milano 31 maggio 1999). Il licenziamento ingiurioso può determinare due diverse forme di risarcimento del danno: quella relativa alla lesione dell’onore e del decoro; e quella, economicamente più rilevante, relativa alla lesione della reputazione e consistente nella conoscenza che i terzi abbiano avuto dei motivi di licenziamento (Cass. 1 aprile 1999 n.3147).

La categoria generale del licenziamento per motivo illecito comprende il licenziamento discriminatorio ed il licenziamento ritorsivo o per rappresaglia. Per licenziamento discriminatorio si intende quello intimato per ragioni di credo politico e fede religiosa, di razza, di lingua, di sesso (oltre che per  motivi di affiliazione o attivismo sindacale). Il licenziamento ritorsivo è invece da correlarsi a casi in cui il datore di lavoro receda dal rapporto di lavoro per reazione, rispetto a fatti o comportamenti del dirigente che risultino essere del tutto leciti e/o giustificati (esempio: licenziamento per ritorsione all’azione giudiziaria proposta dal dirigente). L’onere della prova circa l’esistenza del motivo discriminatorio, ritorsivo o comunque illecito di licenziamento grava sul dirigente e può essere assolto mediante una serie di elementi che, valutati complessivamente anche in relazione a comportamenti antecedenti o successivi all’atto di recesso, presentino tali caratteristiche di contraddittorietà, pretestuosità e slealtà da far intuitivamente ritenere discriminatorio il licenziamento (Trib. Genova, 17 novembre 1988). Il licenziamento discriminatorio, ovvero fondato su un motivo illecito,  ritorsivo o di rappresaglia, è affetto da nullità e comporta, anche per i dipendenti aventi qualifica di  dirigenti, le conseguenze previste dall’art.18 della Legge n.300/70 (reintegra nel posto di lavoro, risarcimento del danno, opzione per il pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra). Non sono frequenti nella prassi i casi di declaratoria di nullità del licenziamento del dirigente e di conseguente applicazione della tutela reale prevista all’art.18 della legge n.300/70, stante l’obbiettiva difficoltà di fornire adeguata prova della sussistenza di motivi illeciti, ritorsivi o discriminatori.

L’impugnazione del licenziamento da parte del dirigente può avvenire mediante ricorso al collegio arbitrale previsto dalla contrattazione collettiva, ovvero, in alternativa, in via giudiziaria. Il ricorso al collegio arbitrale è soggetto al termine di decadenza di 30 giorni, decorrenti dalla data di ricevimento della comunicazione scritta di licenziamento (art.22 CCNL dirigenti aziende industriali e art.33 CCNL dirigenti aziende del terziario). L’azione giudiziaria di impugnazione del licenziamento, non è invece sottoposta ad alcun termine di decadenza, e può quindi essere esercitata entro il normale termine di prescrizione (quinquennale trattandosi di azione di annullamento ex art.1442 c.c.), in quanto il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento, previsto dall’art.6 della legge n.604/66,  è inapplicabile al dirigente (Cass. 15 febbraio 1995 n.1641; Cass. 10 aprile 1990 n.3023).

In caso di recesso del datore di lavoro o del dirigente  da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e salvo la ricorrenza di una giusta causa di recesso in tronco (art.2119 c.c.), la parte che recede deve dare all’altra il preavviso nel termine e nei modi previsti dalla contrattazione collettiva (art.2118 c.c.). In caso di licenziamento del dirigente, i termini di preavviso sono i seguenti:

- per i dirigenti delle aziende industriali (art.23 CCNL): 8 mesi per il dirigente con anzianità di servizio non superiore a 2 anni; un ulteriore mezzo mese per ciascun anno di anzianità ulteriore, sino ad un massimo di altri 4 mesi, per un totale di 12 mesi di preavviso complessivi.

- per i dirigenti delle aziende del terziario (art.33 CCNL) i termini di preavviso sono: 6 mesi fino a quattro anni di servizio; 8 mesi da più di quattro a otto anni di servizio; 10 mesi da più di otto a dodici anni di servizio; 12 mesi oltre i dodici anni di servizio.

Viceversa, in caso di dimissioni da parte del dirigente, i termini di preavviso vengono ridotti e sono i seguenti:

- il dirigente industriale dimissionario deve dare al datore di lavoro un preavviso pari ad 1/3 di quello previsto in caso di licenziamento (art.23 CCNL dirigenti aziende industriali);

- il dirigente del terziario dimissionario è tenuto al rispetto dei seguenti termini di preavviso (art.31 CCNL dirigenti aziende del terziario):  2 mesi  fino a 2 anni di anzianità; 3 mesi da due a cinque anni di anzianità; 4 mesi oltre cinque anni di anzianità.

Secondo l’orientamento prevalente (ma non univoco) in giurisprudenza, al preavviso si attribuisce “efficacia reale”, ossia si ritiene che il rapporto di lavoro prosegue a tutti gli effetti durante il periodo di preavviso e che, pertanto, durante il periodo stesso permangono tutte le reciproche obbligazioni delle parti, fra cui vengono in particolare rilievo l’obbligo di fedeltà e di non agire in concorrenza col datore di lavoro ex art.2105 c.c. (Cass. 6 febbraio 2004 n.2318; Cass. 30 agosto 2004 n.17334). Dalla natura reale del preavviso consegue che, per effetto della permanenza del vinculum iuris, il dirigente può fruire di eventuali miglioramenti retributivi, o di altro genere, introdotti nel frattempo dalla contrattazione collettiva e che la decorrenza del preavviso è sospesa in caso di malattia  e di infortunio del dirigente.

L’art.23 del CCNL dirigenti aziende industriali prevede che il computo dell’indennità sostitutiva di preavviso avvenga sulla base della retribuzione che il dirigente avrebbe percepito lavorando durante il periodo di mancato preavviso. Nel caso in cui al dirigente siano stati riconosciuti nel corso del rapporto premi, partecipazioni agli utili o provvigioni, soccorre la disposizione dell’art. 2121 c.c., secondo cui il calcolo dell’indennità di mancato preavviso deve essere fatto computando la media degli “emolumenti” degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato.

L’art.33 del CCNL dirigenti aziende del terziario prevede che l’indennità sostitutiva di preavviso va computata sulla retribuzione di fatto, comprensiva di tutti gli elementi fissi e della media del variabile degli ultimi tre anni (o del minor tempo di servizio prestato) per gli eventuali elementi variabili.

Qualora il licenziamento del dirigente risulti ingiustificato, ossia risulti privo del requisito della giustificatezza esaminato nel precedente articolo pubblicato su questo quotidiano il 23 ottobre 2006, la contrattazione collettiva prevede il diritto del dirigente al pagamento, a titolo risarcitorio, dell’indennità supplementare. L’indennità supplementare, graduabile in relazione agli elementi che caratterizzano il singolo caso (durata del rapporto, motivazioni del recesso e peculiarità del caso concreto), è compresa fra un numero minimo e massimo di mensilità di preavviso, variabile a seconda del contratto collettivo applicabile. Per il dirigente industriale l’indennità supplementare varia fra un minimo pari al corrispettivo del preavviso individuale maturato, maggiorato dell’importo equivalente a due mesi del preavviso stesso, ed un massimo pari al corrispettivo di 22 mesi di preavviso (art.19 CCNL dirigenti aziende industriali). L’indennità inoltre è automaticamente aumentata avendo riguardo all’età del dirigente licenziato, nelle misure previste dal relativo CCNL

Per il dirigente del terziario l’indennità supplementare varia fra un minimo pari alle mensilità di preavviso spettanti al dirigente in caso di licenziamento ed un massimo pari al corrispettivo di 18 mesi di preavviso (art.29 CCNL dirigenti aziende del terziario). L’indennità supplementare è automaticamente aumentata a favore del dirigente con età compresa fra 53 e 64 anni, purché con anzianità di servizio superiore a dieci anni, nelle misure previste dal relativo CCNL.

Il datore di lavoro ed il dirigente ben possono prevedere,  sia nei  contratti individuali di lavoro che in pattuizioni separate, speciali condizioni che assicurino al dirigente un trattamento migliorativo ai sensi dell’art.2077 c.c. Frequente  è la previsione secondo cui, in caso di dimissioni ovvero di licenziamento del dirigente successive ad mutamento dell’assetto proprietario e/o di controllo della società datrice di lavoro, il dirigente riceva un indennizzo fissato in anticipo dalle parti, in misura anche superiore alla sommatoria dell’indennità di mancato preavviso e dell’indennità supplementare, salva, ovviamente, la ricorrenza di ipotesi di messa in liquidazione o di assoggettamento del datore di lavoro a procedure concorsuali,  oltre che di recesso per giusta causa ex art.2119 c.c.

Avv. Marco Emanuele Galanti

Studio Legale GGM & Partners

(Tratto al Sole 24 Ore –Norme e tributi del 30/10/2006