[Marzo 2007] - Cumulabilità del ruolo di amministratore con quello di dipendente di società di capitale
La compatibilità tra la qualità di amministratore di società di capitali e di dipendente della medesima società è una tematica particolarmente complessa che nel tempo ha trovato diverse soluzioni nell’ambito giurisprudenziale.
Il fenomeno della coincidenza in capo ad un medesimo soggetto della duplice veste di amministratore e lavoratore subordinato ricorre ormai spesso, specie nelle imprese di rilevanti dimensioni, dove accade che la posizione di lavoro dirigenziale si affianchi all’attribuzione di incarichi di amministrazione.
L’atteggiamento della giurisprudenza più risalente nel tempo era di recisa negazione della possibilità di cumulare un incarico di amministratore con un rapporto lavorativo subordinato all’interno di una stessa società.
Nel corso degli anni ’50 tale indirizzo veniva tuttavia modificato dalla Suprema Corte, la quale affermava la non condivisibilità dell’aprioristica e indiscriminata negazione del cumulo ma la necessità di un esame caso per caso.
Negli anni seguenti si è andato affermando e consolidando l’orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla dottrina, che ammette in linea di principio la coincidenza in capo al medesimo soggetto della veste di amministratore e di lavoratore dipendente della società. Tale principio è stato anche ribadito da recenti sentenze della Suprema Corte, secondo cui non sussiste alcuna incompatibilità di principio tra la qualità di componente (non unico) dell’organo amministrativo e di gestione e quella di lavoratore subordinato (In tal senso Cass. 17 Novembre 2004 n. 21759).
L’esame della casistica giurisprudenziale, peraltro molto ampia, evidenzia che deve sussistere una duplice condizione per la cumulabilità.
La prima condizione prevede la necessità di poter distinguere le mansioni correlate al rapporto di lavoro subordinato da quelle invece proprie della carica sociale; l’altra concerne la dimostrazione in concreto dell’esistenza della subordinazione.
Con riferimento alla prima condizione la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima ove sia accertato lo svolgimento di mansioni diverse dalle funzioni gestorie proprie della carica sociale rivestita. (In tal senso Cass. 11 Novembre 1993 n. 11119 e Cass. 12 Gennaio 2002 n. 329).
La seconda condizione prevede che la qualità di amministratore di società di capitali è cumulabile con quella di lavoratore dipendente allorquando sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione dell’amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno. Tale situazione, a titolo esemplificativo non è stata accertata nel caso di amministratori che di fatto erano assoggettati al potere del Presidente del Consiglio di amministrazione, il quale prendeva decisioni senza mai interpellare gli altri membri del Consiglio che svolgevano la loro attività lavorativa nel rigoroso rispetto di orari di lavoro prestabiliti e secondo analoghe modalità rispetto agli altri lavoratori subordinati. Conseguentemente la qualifica formale di amministratori a detti soggetti costituiva uno “schermo” avente evidenti finalità elusive dell’obbligo contributivo e assistenziale proprio del lavoro subordinato (In tal senso Cass. 14 Gennaio 2000 n. 381). Il caso appena esaminato costituisce tuttavia un’esemplificazione limite che non esclude, come vedremo di seguito, la possibilità di cumulo degli incarichi in casi in cui l’assoggettamento al potere disciplinare e direttivo è molto più attenuato.
Nella casistica giurisprudenziale è ormai pacifica l’esclusione della configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato con la società, quando l’amministratore riveste la qualifica di amministratore unico. L’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione comporta infatti, ed in linea generale, l’impossibilità di configurare in capo all’amministratore un assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare altrui, requisito, come già detto, indispensabile per la qualificazione del rapporto in termini di subordinazione (In tal senso Cass. 24 Maggio 2000 n. 6819). Va per completezza ricordato che è comunque necessario accertare che l’amministratore unico eserciti effettivamente i relativi poteri in modo autonomo e non sia soggetto a determinazioni altrui figurando solo formalmente come unico amministratore (In tal senso Cass. 5 Settembre 2003 n. 13009).
Inoltre, di regola, è esclusa la coesistenza di un rapporto di lavoro subordinato con una carica di Presidente del Consiglio di amministrazione, salva l’ipotesi in cui la stessa carica venga attribuita ai soli fini di rappresentanza. In tale ipotesi non si esclude a priori la possibilità del cumulo degli incarichi (In tal senso Cass. 7 Marzo 1996 n. 1793). Tuttavia, la subordinazione del Presidente è stata esclusa nei casi in cui non è stata fornita la prova concreta dell’assoggettamento del medesimo ad un potere direttivo e disciplinare esercitato da altro organo sociale (In tal senso Cass. 29 Gennaio 1998 n. 894 e Cass. 19 Gennaio 2004 n. 11978).
Delineati, se pur brevemente, i casi più ricorrenti di incompatibilità degli incarichi, si ritengono opportune alcune considerazioni in relazione alle ipotesi di cumulabilità della carica di amministratore e lavoratore subordinato nell’ambito dei Consigli di amministrazione di società di capitali.
Di sicuro non tutti i componenti del Consiglio di amministrazione possono essere nello stesso tempo dipendenti della società: la direzione e il controllo sull’amministratore-dipendente sono garantiti proprio dalla collegialità dell’organo gestorio, mentre nell’ipotesi descritta verrebbe meno la distinzione tra soggetto controllante e soggetto controllato.
Sempre in tema, il caso più frequente risulta essere quello dell’amministratore di una società che svolge presso la stessa anche attività lavorativa in qualità di direttore generale o dirigente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la natura subordinata del rapporto di lavoro di un Direttore Generale all’interno di una società, che impartiva quotidianamente ai dipendenti istruzioni sulla gestione tecnica e amministrativa della società, e che, come Consigliere di amministrazione, era assoggettato alle direttive del Consiglio di amministrazione, che assumeva tutte le decisioni finali, definiva i programmi di attuazione e gestione e ratificava l’operato del Direttore Generale (In tal senso Cass. 26 Settembre 2005 n. 18759). Non si riscontrano quindi, in linea generale, problemi di compatibilità degli incarichi nel caso del semplice consigliere di amministrazione non investito di particolari deleghe, di poteri gestori e di rappresentanza della società. (In tal senso Cass. 13 Giugno 1996 n. 5418).
La posizione più delicata è tuttavia quella dell’amministratore delegato.
Si può configurare di solito una coesistenza di rapporti tra il ruolo di amministratore delegato e quello di dipendente quando l’attività dell’amministratore delegato sia soggetta ad un organo esprimente la volontà imprenditoriale, esterno a lui, che eserciti poteri di controllo, comando e disciplina tipici del datore di lavoro e quando sostanzialmente la delega è marginale, limitata ad alcuni poteri di ordinaria amministrazione (In tal senso Cass. 12 Novembre 1990 n. 10900). Per contro, si è esclusa la possibilità di coesistenza dei rapporti nel caso di un consigliere delegato la cui delega comprendeva poteri amplissimi di ordinaria e straordinaria amministrazione e nei confronti del quale non era stato provato l’esercizio di un potere di supremazia gerarchica e disciplinare. (In tal senso Cass. 8 Febbraio 1999 n. 1081). La coesistenza dei ruoli di amministratore e di dipendente è un fenomeno di particolare rilevanza all’interno dei gruppi.
La giurisprudenza di legittimità riconosce, in linea generale e ove sussistono particolari condizioni, la compatibilità tra la qualifica di amministratore e la qualifica di lavoratore subordinato nell’ambito dei gruppi.
Il caso più ricorrente è quello dei dirigenti di società controllanti che, nell’ambito del rapporto dirigenziale, vengono chiamati a svolgere funzioni di amministratore nelle società controllate.
In tali casi l’elaborazione sia della giurisprudenza che della dottrina consigliano un’adeguata disciplina del rapporto dirigenziale, in cui venga opportunamente e adeguatamente regolamentata la problematica attinente agli eventuali compensi dovuti al dirigente per l’espletamento delle funzioni di amministratore delle controllate, funzioni la cui onerosità è presunta ex lege, ai sensi e agli effetti dell’art. 1709 c.c. (onerosità del mandato).
Più in particolare è sicuramente opportuno che non ci si limiti nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato-dirigenziale a prevedere la cumulabilità dei ruoli ma anche a regolamentare la corresponsione, o meno dell’ulteriore compenso dovuto per la prestazione di amministratore.
Nel caso di assorbimento del compenso per la carica di amministratore nella retribuzione prevista per il rapporto dirigenziale, ovvero di non riconoscimento di alcun compenso, dovranno essere previste adeguate ed espresse forme di rinuncia a tale compenso (In tal senso Cass. 8 Novembre 2000 n. 14502).
In generale il cumulo dei rapporti viene attuato allo scopo di consentire al consigliere di amministrazione di fruire del trattamento previdenziale assicurato ai lavoratori subordinati, connesso per legge alla qualifica.
Non si può inoltre dimenticare la vasta casistica delle problematiche di natura previdenziale, correlate al disconoscimento da parte dell’I.N.P.S. del rapporto di lavoro dipendente in casi in cui non vi sia una regolare costituzione del rapporto dirigenziale, con conseguente annullamento della contribuzione, ovvero il rifiuto di eseguire la prestazione previdenziale.
L’ente previdenziale esclude la riconoscibilità di rapporto di lavoro subordinato e la conseguente assoggettabilità agli obblighi assicurativi nelle ipotesi in cui la carica amministrativa ricoperta non consente per la sua stessa natura la subordinazione. E’ questo il caso, come già accennato, del Presidente, dell’amministratore unico e in alcuni casi del consigliere delegato.
In uno specifico caso, l’Istituto previdenziale aveva ricevuto i versamenti contributivi senza nulla opporre alla società debitrice, comportamento equivalente a convalida tacita del rapporto. L’I.N.P.S. aveva successivamente annullato il rapporto assicurativo-contributivo ritenendo mancanti gli elementi tipici per la configurazione di un rapporto subordinato, avendo il dipendente ampi poteri all’interno del Consiglio di amministrazione e mancando altre figure gerarchicamente sopraordinate. La Corte di Cassazione ha precisato che, in linea generale, il rapporto contributivo ha natura pubblicistica e che l’I.N.P.S. ha il potere, quale P.A., di annullare d’ufficio in sede di autotutela, con efficacia ex tunc, il provvedimento di ammissione adottato “ab origine” in contrasto con la normativa vigente. Nel caso suddetto, il contrasto derivava dal difetto del presupposto della subordinazione (In tal senso Cass. 8 Febbraio 2000 n. 1399).
Secondo l’I.N.P.S., la valutazione riguardo il riconoscimento o meno del rapporto subordinato va fatto caso per caso, verificando la presenza di tutti i requisiti necessari, propri del rapporto di lavoro subordinato, sulla base di elementi quali:
- la percezione di una retribuzione di misura predeterminata il cui pagamento avvenga mediante uno dei sistemi previsti dalle norme in vigore per i lavoratori subordinati, retribuzione soggetta al regime fiscale applicato alla generalità dei lavoratori dipendenti;
- l’esistenza certa ed effettiva di controllo e di direzione da parte di organi sulla attività lavorativa del socio dipendente;
- le origini del rapporto di amministrazione in capo all’interessato, anche in relazione ai poteri attribuitigli dallo statuto o dall’atto costitutivo, o dagli altri organi sociali che lo abbiano chiamato in carica.
Trattasi nella sostanza di criteri, in linea di massima, analoghi a quelli adottati dalla giurisprudenza e già ricordati, che ammettono la configurabilità del cumulo degli incarichi in presenza di una subordinazione dell’amministratore, certa ed effettiva, ad un potere decisionale e disciplinare esterno.
Avv. Marco Emanuele Galanti
Studio Legale GGM & Partners
(Tratto al Sole 24 Ore –Norme e tributi del 26/01/2007)