[Marzo 1996] - Art 25 l 06/02/96 n° 52

CIRCOLARE N. 2 MAR96

Sull’art.25 della LEGGE 6 Febbraio 1996, n.52

Introduzione

Scopo di queste note è quello di porre l’attenzione degli operatori sulle novità che derivano dal recepimento della Direttiva CEE 13/93 del 5/4/1993 nel nostro Ordinamento, avvenute con la Legge 6/2/96 n.52.

Le note che seguono costituiscono una prima lettura delle nuove norme e quindi non hanno alcuna ambizione di completezza: ci sembra già un buon risultato quello di fornire un’utile fonte di conoscenza per coloro i quali operano nei mercati sia come “professionisti” che come “consumatori”, nelle eccezioni recepite nella novella e di eguito meglio delineate.

Nell’intento di non appesantire queste note ma di renderle semplice strumento operativo nei primi tempi di applicazione, si eviterà l’esercizio (meritorio ma, probabilmente, approssimativo) di esemplificare tipi di clausole ritenute vessatorie e ci si limiterà al richiamo al testo delle norme che per completezza viene allegato alla presente.

Struttura della novella

Le norme in esame sono state introdotte dall’art.25 della legge 6/2/96 n.52 (cd. “legge comunitaria 1994), che recepisce, fra l’altro, la Direttiva CEE 13/1993, in tema di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

La legge è entrata in vigore il 25/2/1996; quindi si applica ai contratti stipulati dopo tale data mentre sembra coerente l’applicabilità ai contratti anteriori a tempo indeterminato nonchè a quelli soggetti a proroga o rinnovazione dopo tale data.

Il nostro legislatore ha ritenuto di adottare il sistema della “novella” del Codice Civile, inserendo un nuovo capo (Capo XIV bis”Dei contratti del consumatore”) nel titolo II del libro IV con i seguenti articoli:

-art.1469 bis (clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore), che prevede un elenco di venti clausole che si presumono vessatorie nonchè disposizioni specifiche in tema di contratti aventi per oggetto la prestazione di servizi finanziari;

-art.1469 ter (accertamento della vessatorietà delle clausole);

-art.1469 quater (forma ed interpretazione);

-art.1469 quinquies (Inefficacia), che menziona altresì clausole vessatorie che si potrebbero definire “abusive”;

-art.1469 sexies (Azione inibitoria).

Art.1469 bis

Il primo comma dell’articolo enuncia il principio in base al quale una clausola contrattuale è considerata vessatoria, ossia quando essa determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, in contrasto con il principio di correttezza.

Tale ultimo inciso sembra essere il significato del testo letterale della norma (”malgrado la buona fede”) : criterio fondamentale è quello dello squilibrio, mentre la contrarietà alla buona fede è una qualificazione di tale squilibrio.

Lo “squilibrio” che qualifica la vessatorietà è stato quindi definito di tipo “normativo” e non di tipo economico (così invece quello qualificato all’art. 1469 ter, secondo comma del Codice Civile).

La normativa è generale, e si applica quindi a tutti i contratti, anche verbali (tranne norme specifiche dettate per alcune categorie di contratti contraddistinti per il loro oggetto: “prestazioni di servizi finanziari”), siano o meno predisposti dal professionista.

Il secondo comma pone le definizioni di consumatore e professionista, ossia i soggetti tra i quali viene concluso il contratto di cui al primo comma, così confermando la tendenza del legislatore comunitario all’identificazione di categorie contrattuali soggettivamente caratterizzate, “nel senso di una sorta di corporativizzazione del diritto “.

Il “consumatore” è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” e quindi

: -non sarà tale nè l’impresa collettiva nè l’imprenditore individuale, non avendo il legislatore ritenuto meritevoli di tutela le imprese “deboli” nei rapporti contrattuali con le imprese “forti”;

Il “professionista” è la “persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale, utilizza il contratto di cui al primo comma ” e quindi:

il soggetto delineato dalla norma non è riconducibile alla figura del “professionista” così come intesa nel nostro diritto positivo, la definizione essendo stata mutuata dal polivalente vocabolo della lingua francese “professionel”;

è testuale il riferimento ai soggetti pubblici. Il terzo comma elenca venti clausole che “si presumono vessatorie”, con l’onere a carico del professionista di provare il contrario, ossia che la clausola non provoca alcun significativo squilibrio a carico del consumatore (presunzione semplice o relativa, quindi suscettibile di prova contraria).

I commi quarto,quinto e sesto sono destinati a disciplinare i contratti che hanno per oggetto “la prestazione di servizi finanziari” per l’identificazione dei quali si può fare riferimento all’art.1, secondo comma, della Legge Bancaria (D.Lgs.385/1993) e quindi interessano in primo luogo le banche, le società di “leasing”, le società di investimento mobiliare e le società che gestiscono fondi chiusi mobiliari ed immobiliari: si tratta di norme che consentono, in considerazione del particolare oggetto dei contratti posti in essere, quali professionisti, da tali soggetti, deroghe alle clausole sopra considerate vessatorie.

Infine, il settimo comma prescrive la disapplicazione delle clausole di cui ai nn.12 e 13 alle clausole di indicizzazione dei prezzi “ove consentite dalla legge, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte”, con ciò ponendo un ulteriore obbligo di trasparenza a carico del professionista.

Due brevi considerazioni:

La prima: il criterio generale che qualifica come vessatoria una clausola nei contratti in esame (buona fede oggettiva e squilibrio normativo) non si esaurisce nell’elenco di cui all’art.1469 bis e quindi vi possono essere clausole contrattuale che, pur non comprese in tale elenco, sono da considerarsi “vessatorie”.

La seconda: alcune delle clausole in elenco prevedono che venga meno il loro carattere di “vessatorietà” qualora sia dato un rimedio al consumatore al fine di eliminare lo squilibrio dei diritti e degli obblighi (v.clausole nn.5-7-9-11 e 13). La previsione di ciò che è stato definito dalla dottrina che per prima ha commentato la norma di cui ci occupiamo come “contrappeso” a favore del consumatore, non esclude la “vessatorietà” della clausola, ma fa solo venire meno la presunzione (relativa) di “vessatorietà”

Art.1469 ter

Precisata al primo comma dell’articolo precedente la definizione di clausola vessartoria, i primi due commi dell’articolo in esame indicano gli elementi per accertare la vessatorietà delle clausole.

Il primo comma dispone una valutazione, in positivo, che deve tenere conto:

- della natura del bene o del servizio (oggetto del contratto);

- delle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto;

- delle altre clausole del contratto o di un altro contratto collegato o da cui dipende.

Il secondo comma dispone invece una valutazione in negativo: la clausola non deve attenere “alla determinazione dell’oggetto del contratto, nè all’adeguatezza del corrispettivo dei beni o dei servizi, purchè tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”: onere quest’ultimo che sembra essere posto a carico del professionista.

Quindi l’accertamento della vessatorietà di una clausola è il risultato di una valutazione discrezionale, operata sia in base a concetti elastici, quali quelli desumibili dalla stessa formulazione letterale delle clausole elencate nell’articolo che si commenta, sia in base ad un canone generale quale è il criterio di buona fede.

Ma l’art. 1469 ter, ai successivi quarto e quinto comma, reca due disposizioni che si pongono come un antecedente logico rispetto alla valutazione della vessatorietà e che costituiscono, soprattutto la seconda, uno degli elementi chiave di tutta la novella.

Il quarto comma dispone infatti che non sono considerate vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge o di principi contenuti in convenzioni internazionali: è da notare che il legislatore italiano non ha fatto riferimento ai regolamenti (fonte normativa di secondo grado), come invece è previsto dall’articolo 1 della Direttiva, nonostante l’importanza del ruolo che gli stessi svolgono specie nella contrattazione con gli enti pubblici, cui pure si applicano, come detto, le disposizioni in commento.

Ancora più importante è la prescrizione del quinto comma, in base alla quale non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausole che siano stati oggetto di trattativa individuale: in questo caso viene meno l’intervento del legislatore a tutela del consumatore.

Per “trattativa” deve intendersi l’attività di negoziazione del contenuto della clausola svoltasi tra il professionista ed il consumatore; si può, anche in questo caso, fare riferimento alla giurisprudenza formatasi in merito all’art. 1341, secondo comma, del Codice Civile.

Ai sensi dell’ultimo comma è a carico del professionista l’onere di provare che è avvenuta una specifica trattativa nel caso di contratti conclusi mediante moduli o formulari (cd. “contratti standard”), dal medesimo professionista unilateralmente predisposti.

Certamente si rivela problematica la prova (a carico del professionista) circa l’effettiva esistenza di un “negoziato individuale” (così si esprime la Direttiva all’art.3) con il consumatore mentre è da escludersi la efficacia di una clausola (di stile) che comunque dia atto dell’avvenuta trattativa.

Art.1469 quater

La dottrina che per prima ha esaminato la norma ha messo in luce come la stessa non ponga affatto un requisito di forma, ma imponga un obbligo di “trasparenza” a carico del professionista (primo comma).

Il secondo comma aggiunge un ulteriore canone legale di interpretazione dei contratti a quelli già previsti nel Codice Civile, così sovrapponendosi alla disciplina dettata dall’art.1370 del Codice Civile per i contratti cd. “standard”.

Art. 1469 quinquies

E’ questa una norma fondamentale del sistema.

Il primo comma dispone l’inefficacia delle clausole considerate vessatorie, specificando che il contratto rimane efficace per il resto, senza dare risposta al problema della sussistenza del contratto nel caso in cui le clausole inefficaci siano essenziali per l’esistenza del contratto medesimo.

La scelta del legislatore circa la sanzione dell’inefficacia piuttosto che quella, più grave, della nullità, è probabilmente dovuta, oltre che alla valutazione circa l’impatto della nuova normativa all’interno del sistema sanzionatorio del Codice Civile, anche alla considerazione che la conservazione del contratto (depurato dalle clausole vessatorie) è un regime di favore nei confronti del consumatore.

La disciplina di tale inefficacia (salvo quanto previsto dall’articolo successivo) è così delineata al terzo comma:

-può essere rilevata d’ufficio dal giudice;

-il professionista non può farla valere rispetto ad una clausola dal medesimo predisposta: così si interpreta l’inciso “opera soltanto a vantaggio del consumatore”.

Non è fatto cenno alla decadenza dell’azione nè all’opponibilità ai terzi dell’inefficacia

. Il secondo comma dell’articolo dispone l’eccezionale inefficacia di tre clausole, anche se oggetto di trattativa tra il professionista ed il consumatore: sono queste clausole di esonero o limitazione della responsabilità per danno alla persona o per inadempimento o di adesione a clausole non conoscibili.

Tali clausole, secondo la dottrina preferibile, si debbono presumere in ogni caso vessatorie (presunzione assoluta) e comunque, indipendentemente da ogni valutazione, inefficaci: da ciò la differenza con le clausole, contenute nei precedenti articoli, che si “considerano vessatorie” (presunzione relativa).

Il quarto comma dell’articolo sancisce un principio di rilevante importanza e che per il suo contenuto può di fatto estendere gli effetti della Novella a soggetti non direttamente destinatari della stessa.

Si stabilisce infatti, seppur in modo non certo chiaro, il diritto del venditore ( professionista) all’azione di regresso nei confronti del suo fornitore per i danni che dovesse subire in conseguenza della declaratoria d’inefficacia delle clausole dichiarate abusive e dallo stesso imposte al consumatore.

In forza del descritto principio, tutte le imprese intermedie della a volte complessa catena distributiva, possono teoricamente essere coinvolte in un’azione di regresso per il ristoro dei danni conseguenti all’inefficacia delle clausole abusive.

Infine, il quinto comma, quale norma di chiusura del sistema, dispone l’inefficacia, senza necessità o possibilità di diversa valutazione, di una clausola che abbia come scopo quello di eludere le norme di protezione del consumatore dettate dalla legge.

Art.1469 sexies

L’art.7 della Direttiva lasciava al legislatore nazionale la scelta circa l’autorità cui demandare la repressione.

Il legislatore italiano ha scelto la via del controllo giudiziario, anzichè amministrativo, mediante l’introduzione di una particolare azione al fine di inibire l’uso delle clausole di cui sia stata accertata la vessatorietà, ai sensi di legge.

Questi i principali caratteri dell’azione:

-in quanto azione inibitoria, ha essenzialmente funzione di prevenzione, indipendentemente dal fatto che sia esperita prima che la clausola venga dedotta in contratto ovvero nei confronti di clausole già utilizzate, in quanto è comunque volta ad impedire il possibile uso della clausola vessatoria;

-presupposto dell’azione è l’attività illecita in quanto tale, prescindendo dalla colpa e dal danno;

-la legittimazione attiva spetta alle associazioni “rappresentative” sia dei consumatori sia dei professionisti, nonchè alla Camera di Commercio;

-la sentenza inibitoria può essere oggetto di pubblicità mediante pubblicazione sui giornali.

Considerazioni Finali

Le brevi note che precedono non possono ritenersi concluse senza farsi carico di affrontare due questioni, l’una di carattere generale e sistematico, l’altra di natura più specialistica ma non per questo priva di rilevanza pratica.

La prima questione riguarda il coordinamento delle nuove norme con gli articoli 1341, 1342 e 1370 del Codice Civile.

L’articolo 1341 del Codice Civile (”Condizioni generali di contratto”) disciplina il fenomeno della predisposizione unilaterale del contratto, al fine di un suo impiego reiterato (cd. “contrattazione di massa”), subordinandone l’efficacia alla conoscenza e, quanto meno, alla conoscibilità da parte del soggetto non predisponente.

Il secondo comma del medesimo articolo prevede un elenco, da intendersi tassativo, di clausole tradizionalmente definite “vessatorie” (o onerose) in quanto stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, una posizione contrattuale privilegiata: tali clausole (condizioni, nel testo della norma) non hanno effetto in mancanza di una loro specifica approvazione scritta.

L’art. 1342 del Codice Civile, al primo comma, ha natura di norma di interpretazione, da coordinarsi con quella contenuta nell’art. 1370 del Codice civile: entrambe confermano la maggior tutela che l’ordinamento presta a favore del contraente, considerato “più debole” nei confronti del predisponente le condizioni contrattuali, che si presume essere dotato di organizzazione e di mezzi tecnici tali da assumere una posizione dominante all’interno degli equilibri contrattuali.

Non vi è dubbio che la normativa appena menzionata si pone in diretta relazione con le norme entrate in vigore a seguito del recepimento della direttiva Comunitaria: non solo hanno un “humus” comune ma si ritrova nelle stesse un lessico simile, se non identico.

In verità, l’unico comune denominatore è la sanzione che il Legislatore ha previsto.

Piuttosto, bisogna affermare che il piano di intervento dell’art. 1341 del Codice Civile non incide principalmente con il problema del controllo sul contenuto delle clausole contrattuali, investendo il distinto (e più limitato problema) del modo di inserimento delle singole clausole nel contratto.

E quindi, limitandoci all’esame delle clausole cd. “vessatorie”, l’eventuale specifica sottoscrizione richiesta dall’art. 1341, secondo comma, del Codice Civile, non sarà sufficiente ad escluderne l’inefficacia quando, alla luce delle norme introdotte dalla Novella, il loro contenuto sia da considerarsi abusivo.

Si ritiene quindi che nei contratti con i consumatori, strutturati come contratti “standard”, le clausole in esame, per risultare efficaci dovranno sia non avere contenuto vessatorio, ai sensi degli artt.1469 bis e 1469 ter del Codice Civile, sia essere approvate specificamente per iscritto, ai sensi dell’art.1341, secondo comma, del Codice Civile: entrambi i requisiti debbono essere richiesti, in considerazione dei diversi livelli di intervento che le norme menzionate hanno nella contrattazione tra professionista e consumatore.

Secondo la dottrina che per prima ha affrontato l’argomento, si può invece ritenere che il controllo sul contenuto, come stabilito dalla novella, sostituisca ed assorba il requisito formale della doppia sottoscrizione.

Considerata la complessità e le continue innovazioni in relazione alla materia trattata, lo studio rimane a disposizione per qualsiasi ulteriore approfondimento o chiarimento che si dovesse rendere necessario.

Milano , Marzo 1996

Studio Legale GGM

[Ottobre 1994] - Sicurezza dei lavoratori

CIRCOLARE N. 1 OTT94

SULLE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA DEI LAVORATORI DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE SULLA GAZZETTA UFFICIALE

In data 16/9/94 il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo con cui si è data attuazione a otto direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Si tratta di un complesso di ben 98 articoli che introducono una serie alquanto articolata di obblighi a carico del datore di lavoro.

Nessuno degli appartenenti a quest’ultima categoria potrà disinteressarsi della nuova normativa; l’art.1 del decreto dispone infatti che “le misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro” dovranno trovare applicazione “in tutti i settori di attività, privati o pubblici”, sena distinzione in ordine alle dimensioni dell’impresa.

Distinzioni di questo tipo in realtà sono sì previste, ma limitatamente alla disciplina di determinati istituti, fermo restando dunque che il contenuto sostanziale della nuova normativa dovrà essere osservato da tutti i datori di lavoro, pena, in alcuni casi, l’applicazione di sanzioni di carattere penale.

In considerazione dell’ampiezza del campo di applicazione, con la presente circolare intendo segnalare ai clienti solo gli aspetti salienti del nuovo provvedimento, non essendo in questa sede possibile analizzare dettagliatamente ogni articolo.

Sono naturalmente disponibile ad ogni chiarimento che si rendesse necessario, ma non posso comunque fare a meno di rilevare che si tratta di un provvedimento che in molti punti pecca di ambiguità, vaghezza e ripetizioni e che, pertanto, necessiterà probabilmente di modifiche o comunque di un po’ di “rodaggio” prima che sia possibile valutarne l’esatta portata.

Basti considerare che nel decreto vi è il rimando a ben tredici decreti legislativi, ancora da approvare.

I principali obblighi del datore di lavoro

-Al datore di lavoro è innanzitutto imposto un obbligo di valutazione dei rischi cui sono esposti i lavoratori.

A tale proposito, il datore di lavoro deve redigere un documento in cui devono essere contenute:

1) una valutazione dei rischi connessi all’attività esercitata

2) l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione necessarie

3) un programma per l’attuazione delle suddette misure preventive.

Già la previsione di questo primo obbligo desta non poche perplessità: da un lato non sono indicati in alcun modo i parametri in base ai quali deve essere effettuata la valutazione e, dall’altro, questa deve avvenire secondo modelli procedurali quantomai complessi: essa, a norma del sesto comma dell’art.4, deve essere effettuata in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (nuova figura introdotta dal decreto e di cui si parlerà fra breve) e con il medico competente, previa consultazione di un rappresentante sindacale dei lavoratori.

Tuttavia, per le piccole e medie imprese (concetto che peraltro il legislatore non si è minimamente preoccupato di definire), è previsto che vengano adottate a cura del Ministero del Lavoro “procedure standardizzate” volte a semplificare l’adempimento del descritto obbligo documentale.

-Fermo tale adempimento di carattere burocratico, il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto che dirigono o sovrintendono le attività aziendali devono effettivamente adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori.

L’art.4 del decreto elenca in 15 punti le principali attività che i soggetti indicati devono svolgere per rispettare l’obbligo suddetto: si passa dall’obbligo di aggiornamento delle misure di prevenzione, alla fornitura di adeguati mezzi di protezione, al controllo dell’effettivo utilizzo di tali mezzi da parte dei lavoratori, alla verifica degli effetti che tali misure provocano sull’ambiente esterno.

La violazione di queste disposizioni, invero poco chiare ed estremamente generiche, dà luogo all’applicazione di sanzioni penali e amministrative che variano, a seconda dei casi, dall’arresto fino a due mesi alla ammenda fino a tre milioni.

-Quanto all’attuazione concreta delle misure antinfortunistiche, alla elaborazione di nuove procedure di sicurezza, alla formazione ed informazione dei lavoratori, cioè alla “gestione” di tutta la materia relativa alla sicurezza in ambiente di lavoro, il datore di lavoro ha varie possibilità:

1) può organizzare all’interno dell’azienda un apposito “Servizio di prevenzione e protezione”

2) può incaricare persone o servizi esterni

3) può provvedervi lui stesso, ma questo solo a determinate condizioni: se è titolare di un’azienda artigiana o industriale con non più di 30 addetti ovvero di un’azienda agricola con non più di 10 addetti o di altre aziende con non più di 200 addetti (sono escluse comunque le centrali termoelettriche, gli impianti e laboratori nucleari, le aziende estrattive, quelle minerarie, le aziende per la fabbricazione e il deposito di esplosivi, gli ospedali e le cliniche).

Analizziamo brevemente ciascuna di queste tre alternative:

1) se il datore di lavoro decide di organizzare all’interno della sua azienda il c.d. “Servizio di prevenzione” deve designare una o più persone sue dipendenti ed individuare un Responsabile per il servizio che deve essere “in possesso di attitudini e capacità adeguate” (quale siano i criteri per valutare tale adeguatezza, però, non viene chiarito);

2) quanto alla seconda ipotesi -i servizi esterni- viene soltanto precisato che le persone alle quali ci si deve rivolgere devono essere “in possesso delle conoscenze professionali necessarie” e che, in ogni caso, il fatto di rivolgersi a questi servizi, non libera automaticamente il datore di lavoro dalla propria responsabilità in materia. Il problema è, ancora una volta, che non vengono indicati i criteri in base ai quali la scelta può definirsi adeguata (sarebbe per esempio stato possibile individuare quali “buoni consulenti” solo Società o professionisti con determinati requisiti, quali l’iscrizione ad un Albo o simili);

3) per le ipotesi in cui è concesso al datore di lavoro provvedere in prima persona ai compiti inerenti la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, oltre a tutta un’altra serie di incombenze burocratiche, è previsto che lo stesso frequenti un apposito corso di formazione (da chi tenuto e organizzato, non è dato sapere).

Informazione e formazione dei lavoratori

-Un problema a cui viene dato particolare risalto nel decreto è quello relativo all’informazione e formazione dei lavoratori.

Questa è la parte del decreto dotata di maggiore chiarezza, anche se la sua portata innovativa è limitata, in quanto per lo più vengono affermati principi recepiti già da tempo nel nostro ordinamento.

Ad ogni modo, le nuove disposizioni possono essere così sintetizzate:

1) ai lavoratori deve essere assicurata un’adeguata informazione sugli aspetti generali della sicurezza in azienda, vale a dire sui rischi connessi all’attività dell’Impresa nel suo complesso, sulle misure di sicurezza adottate dall’azienda, sulle strutture esistenti (pronto soccorso, misure antincendio, medico competente, ecc…);

2) accanto a tali informazioni di carattere generale, il lavoratore deve poi esser reso edotto in modo dettagliato e specifico sui rischi connessi al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni. Più precisamente, è previsto che la formazione avvenga oltre che al momento dell’assunzione, anche quando venga disposto un trasferimento o cambiamento di mansioni e quando vengano introdotti in azienda nuovi macchinari, nuove procedure o nuove sostanze potenzialmente pericolose.

Una particolare informazione deve poi essere fornita al rappresentante sindacale per la sicurezza.

Il rappresentante per sicurezza

-Questa nuova figura è disciplinata dall’art.18 del decreto: fatta eccezione per le imprese con meno di 15 dipendenti, per le quali si prevede che possa essere individuato un rappresentante per più aziende operanti nel medesimo ambito territoriale, il rappresentante sindacale per la sicurezza deve essere eletto dai lavoratori.

I compiti assegnati a siffatto soggetto sono essenzialmente compiti di controllo circa l’effettiva attuazione delle misure di sicurezza.

Il rappresentante dei lavoratori deve poi essere consultato per tutti gli adempimenti relativi alla materia: almeno per ciò che concerne le realtà lavorative di dimensioni più ridotte, è facile immaginare che l’adempimento di siffatti obblighi di consultazione comporterà problemi pratici di non facile soluzione.

La riunione periodica

-L’art.11 del decreto prevede che, per le imprese con più di 15 dipendenti, il datore di lavoro indica almeno una volta all’anno una riunione a cui devono partecipare il responsabile del servizio di sicurezza, il rappresentante dei lavoratori ed il medico competente, ove previsto.

Oggetto di tale riunione sarà : l’analisi del documento di cui si è detto al punto A), l’adeguatezza dei mezzi di protezione individuali, i programmi di informazione e formazione dei lavoratori.

Sicurezza dei luoghi di lavoro

-Oltre a questi istituti, il decreto introduce poi significative innovazioni in materia di “Luoghi di lavoro” (artt. dal 30 al 33), stabilendo le caratteristiche precise che questi devono avere per garantire ai lavoratori la maggior sicurezza possibile.

Dal momento che tali norme sono estremamente dettagliate e lunghe, mi limito ad indicare il loro oggetto, segnalando che sono previste disposizioni in materia di : vie ed uscite di emergenza; -porte e portoni; -vie di circolazione; -zone di pericolo; -pavimenti; -passaggi; -aerazione dei luoghi di lavoro chiusi; -temperatura dei locali; -illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro; -scale; -banchine e rampe di carico; -locali di riposo; ed altri aspetti.

Uso della attrezzatura da lavoro

-Gli artt. dal 34 al 39 riguardano l’uso delle attrezzature da lavoro. A questo riguardo va segnalato in particolare l’art.35 il quale dispone che il datore di lavoro deve prendere le misure necessarie affinchè dette attrezzature siano:

1) installate in conformità alle istruzioni del fabbricante

2) utilizzate correttamente

3) oggetto di idonea manutenzione.

Da un lato quindi si impone un obbligo di vigilanza quanto mai assiduo e, dall’altro, si determina per il datore di lavoro la necessità di concludere con i fabbricanti o con tecnici specializzati contratti di manutenzione dei macchinari.

Uso videoterminali

-Quanto all’utilizzo di videoterminali da parte dei lavoratori, è prevista tutta una serie di cautele: in particolare si segnala la necessità di concedere pause di riposo o cambiamento di attività all’operatore che lavori ad un videoterminale per più di 4 ore consecutive

. Inoltre, i lavoratori che utilizzano videoterminali devono essere sottoposti a visita medica per accertare eventuali problemi di vista e devono essere informati in ordine alle misure di prevenzione adottabili (occhiali particolari, modalità di svolgimento del lavoro, ecc…).

Atri argomenti trattati

Quelli evidenziati sono solo i punti principali del decreto, il quale detta disposizioni anche in materia di agenti cancerogeni e biologici, disciplina dettagliatamente la figura del medico competente per quelle realtà aziendali in cui questa figura è prevista, prevede disposizioni addirittura in tema di movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori, nonchè adempimenti da attuarsi in caso di incendi o di altri pericoli gravi.

Come si vede, il decreto che ha recepito le direttive comunitarie in materia di sicurezza del lavoro, ha una portata estremamente vasta.

Ciò che più preoccupa è che il legislatore, pur non avendo chiarito punti fondamentali (su quali parametri effettuare la valutazione dei rischi, come valutare la competenza del responsabile del servizio prevenzione, in base a quali criteri scegliere un consulente esterno, che dovrà tenere i corsi di formazione previsti, ecc…), ha fissato tempi molto stretti per la concreta attuazione della nuova normativa : l’art.96 del decreto si limita a disporre che ” E’ fatto obbligo di adottare le misure di cui all’art.4 (il documento di valutazione dei rischi e le conseguenti attività precauzionali) entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto “.

L’art.95 poi, per i casi in cui è concesso al datore di lavoro provvedere direttamente, ossia senza istituire il servizio di prevenzione o senza rivolgersi a consulenti esterni, agli adempimenti richiesti, esonera il datore di lavoro, “in sede di prima applicazione e comunque non oltre il 31/12/1996″, dall’obbligo di frequenza del corso di formazione previsto dall’art.10.

Orbene, se per questi obblighi specifici (art.4 e art.10) è previsto un anno di tempo, per tutti gli altri non è disposto alcunchè: questo vuol dire che, trascorsi i canonici quindi giorni di “vacatio legis”, ossia trascorsi 15 giorni dalla ormai prossima pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale, tutte le altre disposizioni entreranno automaticamente in vigore. Staremo a vedere se e come sarà possibile rispettarle.

Considerata la complessità e le continue innovazioni in relazione alla materia trattata, lo studio rimane a disposizione per qualsiasi ulteriore approfondimento o chiarimento che si dovesse rendere necessario.

Milano , Ottobre 1994

Studio Legale GGM