di Marco Emanuele Galanti e Paolo Poli *

La cosiddetta “norma antiprecari” (art.4 bis del decreto legislativo n.368/2001), introdotta dal comma 1 bis dell’art.21 della legge 6 agosto 2008 n.133 (in vigore dal 22/8/2008), di conversione con modifiche del decreto legge n.112/08 relativo alla “manovra d’estate”, dopo aver sollevato accese polemiche nei mesi scorsi, verrà sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, a seguito delle ordinanze di remissione di recente pronunciate dalle Corti di Appello di Bari e di Genova.

Nella sua formulazione originaria la norma antiprecari prevedeva l’applicazione in via stabile del principio secondo cui, in caso di violazione delle disposizioni relative all’apposizione ed alla proroga del termine (art.1,2 e 4 del D.Lgs. 368/2001), al lavoratore sarebbe spettato un indennizzo economico da 2,5 a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, in luogo della conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato.

In sede di conversione in legge la suddetta disposizione è stata modificata, limitandone sensibilmente la portata, con l’introduzione di una norma transitoria (art.4-bis del D.Lgs 368/2001) di applicazione limitata ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione (22/8/2008) e fatte salve le sentenze passate in giudicato, che configura in buona sostanza una “mini sanatoria”.

Tale norma, come prevedibile, ha sollevato da subito dubbi di costituzionalità, di cui la stessa  giurisprudenza di merito si è fatta portavoce. In particolare, si segnala che la Corte di Appello di Bari ha sollevato la questione di costituzionalità della norma transitoria in esame (v. articolo pubblicato su Il Sole 24Ore del 27/9/2008), sospettata di violare il principio di uguaglianza e di ragionevolezza e di creare una notevole disparità di trattamento in situazioni identiche, a seconda che l’irregolarità del contratto a termine venga dedotta nell’ambito di un giudizio instaurato prima o dopo l’entrata in vigore della disposizione stessa.

Ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sono stati di recente sollevati dalla Corte di Appello di Gevova (ordinanza del 26/9/2008) in riferimento alla violazione sia del principio di uguaglianza (art.3 Cost), che - e qui sta la novità - del principio secondo cui la potestà legislativa dello Stato deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ed internazionale (art.117 Cost). Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, da parte della Corte genovese si è evidenziata una possibile violazione dell’art.6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4/11/1950 (resa esecutiva con L. 4 agosto 1955 n.848), laddove impone al potere legislativo di non intromettersi nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla risoluzione di una controversia o di una determinata categoria di controversie in corso.

La condivisibile esigenza di semplificazione e di riduzione del contenzioso che la norma antiprecari in esame dovrebbe conseguire rischia quindi di essere vanificata per effetto della possibile ed eventuale pronuncia di incostituzionalità della stessa, riconducibile alla disparità di trattamento che la stessa prevede, sottraendo al contenzioso i soli giudizi in essere ad una certa data.

Si è persa quindi l’occasione per introdurre in via stabile nel nostro ordinamento una differente disciplina a livello normativo delle conseguenze derivanti dalla violazione delle norme sul contratto a termine: prevedendo  in caso di contratto a tempo determinato con clausola del termine e/o  proroga illegittima (ad esempio per omessa o insufficiente giustificazione del termine e/o della proroga) un congruo indennizzo per il lavoratore,  al posto della conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato allo stato riconosciuta dalla giurisprudenza (v. di recente Cass. 21/5/2008 n.12985);  viceversa, riservando la sanzione della conversione del rapporto ai casi di violazione delle disposizioni tendenti a prevenire gli abusi derivanti dalla successione di contratti a termine (ad esempio in caso di reiterate assunzioni a termine del medesimo lavoratore, in cui può sorgere il sospetto di un abuso dell’istituto in questione).

Sarebbe pertanto auspicabile che il legislatore si sforzasse di cercare, nel confronto con le parti sociali, una convincente sintesi, per dare un assetto chiaro e definitivo alle norme sul rapporto di lavoro a termine,   nell’ottica della semplificazione e della certezza delle regole, al fine di ridurre per quanto possibile le problematiche di tipo interpretativo ed applicativo e, per tale via, anche il contenzioso.

* Studio Legale Galanti, Meriggi & Partners

(Tratto dal Sole 24 Ore del 3/11/2008 – pag. 7)

* Marco Emanuele Galanti - Fabio Meriggi

*Studio Legale Galanti Meriggi & Partners